Nel tuo giglio dormiente
si distinguono grazia e il pomo d’Adamo
che tremola, dal guanciale a un nome più grande
lontananze d’aria ferma, che neanche il santo
poté saggiare dolcezze morte sul collo.
Si mettono a catena gole bianche,
la fronte diventa buon muro dove
poggiarsi a lamento e cantare.
Avrei voluto morderti al sonno, dove
ebbero origine eco stanche, giochi malati
di un dito all’ombelico e la rosa.
Avrei potuto gridare, se vederti impazzire
con occhi spalancati e rossi, sarebbe poi tutto,
luce che rovina il costato.
Mi piego acqua di spoglie orizzontali
a placarne le bocche insonni.