A un certo punto del firmamento
rimango bocca aperta coi luminari,
fosse noia, appetito, asma nuda dell’angelo,
si apprezza l’urlo freddo di bancarelle d’inverno.
Col silenzio gonfio al palato,
le mani non toccano tempie estranee
o la chioma rubia di chi per te si spaccia
tenendomi incrociate le braccia.
Smetto di specchiarmi nei denti
di uomini che poco adoro e non servo.
Mi basta la pozza rotonda e scura
dove corri a finirmi, ho tutta l’aria
di Nessuno che confonde i giganti.
Di questa fessura nera, preziosa
custodisco rabbia, pazzia, tutti i dolori
in terra, e la malattia di certi fiori.
Dove siete giunti a curiosare dannati
fu e sarà razzia di ciliegi e lune.
Mi hanno cucito la notte tra inguine e ventre
per non darvela a bere,
ho lo scrupolo di mille stelle seviziate
m’incanto al buco nero.
E non addomestico cielo,
in attesa che tu sappia mettere mano
alle guance.