Tu ricordi il filo d’oro che ci avvolse
da principio, nel celeste della pancia,
fino all’acqua permanente dell’argilla?
Nell’antistella immaginale, nostraterra,
scivolammo con le ali lungo i solchi,
per dar vita a un essere mortale?
Dal luogo di riposo, dell’accanto,
dalla croce spalancata per lo spazio,
nelle quattro direzioni, ed una quinta,
suo fiume di portata, verso il cuore?
– se non sapessi della loro incandescenza,
verrei arsa dagli angeli danzanti,
e dalla sposa, nel magenta del suo vino,
quando cambia di stato e si fa luce.-
In questo volo al magnifico e profondo,
a poco a poco, nel vuoto del Sabbat,
giungeremo come un’onda ai corpi nostri.
Dal grande luminare a quello piccolo.
solo allora danzeremo con le stelle,
per corone musicali e stanza chiusa,
sopra il velo femminile di pianete?
La sua respirazione, il suo mantello,
siamo noi? i seminati dalle pietre?
Secondo norme favolose e consonanti,
fra la pelle impenetrabile e divina
della nostra mangiatoia di licheni,
credo agli angeli bambini custoditi
con splendore, signorili sacerdoti,
che benedicono il fruscio della letizia,
e il nuovo miele della luce, con il bisso,
quando buca , al centro esatto, il serafino,
con il canto di diamante, il primo sposo.