Antonio Lillo – Breve risposta a “Se la Barilla (non) rende liberi”

Per par condicio abbiamo offerto ad Antonio Lillo la possibilità di rispondere all’articolo “Se la Barilla (non) rende liberi“, apparso sulle nostre pagine

Su invito della rivista Inverso rispondo al post di Davide Galipò in maniera spero costruttiva anche se mi accorgo troppo lunga perché la legga qualcuno fino in fondo. Me ne scuso.
Il problema c’è, è reale. Ne avevo parlato già col mio avvocato, che si occupa di diritto d’autore, quindi è uno specialista del campo ma, visto che nel post di Davide si rivendica che la sua è un’opera d’arte, l’ho preso sul serio e sono andato a parlarne anche con un mio amico che lavora in un museo e collabora con varie gallerie d’arte. Il quale a sua volta mi ha sconsigliato di pubblicarla e mi ha spiegato quanto segue: è vero – come dice Davide – che per gli artisti vige la massima libertà di espressione nelle loro opere, ma è anche vero che la legge difende – a torto o a ragione non mi interessa – il copyright, tanto più che negli ultimi anni si è visto un irrigidimento delle norme in questo campo; per cui siamo in questa contraddizione per cui tu puoi dire quello che vuoi come artista (sempre che tu lo sia), ma allo stesso tempo se tocchi il logo di un’azienda protetto da copyright quell’azienda è liberissima di rivalersi su di te, ancora più se quel logo è usato ambiguamente per diffamare l’azienda. Infatti, spesso sui libri d’arte non si dice, ma molti artisti che fanno opere di “scontro” poi hanno da disbrigarsi fra numerose cause legali. Se non succede è una scelta dell’azienda, non una prova della tua inattaccabilità di fronte alla legge.
Faccio qui un esempio. Se qualcuno prendesse il logo di Inverso senza dir nulla alla redazione per farne un’opera d’arte da pubblicare sulla prima pagina di un libro che viene venduto in libreria, viene recensito e va ai concorsi in cui, senza giustificazioni di sorta, si dice: “Inverso mangia a CasaPound”, voi che fareste, lascereste correre perché “è arte” o vi incazzereste un poco?
Ora, capisco l’infatuazione per l’opera e per l’idea di libertà espressiva, ma da un punto di vista di logica comune, perché un’azienda che fa pasta, quindi legata a un immaginario famigliare (che è quello che Davide vuole demolire con la sua opera, come dice lui stesso) dovrebbe accettare di essere accostata all’immaginario comune di nazismo e campi di concentramento che la frase abbinata al logo suggerisce? E se modifichi Barilla in Balilla mantenendo riconoscibile il logo non peggiori la situazione, rafforzando l’idea che sia un’azienda filo-fascista? E se quelli dell’azienda si incazzano e mi chiedono – come potrebbe concretamente succedere – di ritirare le copie del libro dal mercato, chi mi paga per il danno economico di aver stampato un libro che non si può più vendere? Chi mi dà i soldi per ristamparlo? L’autore? La famiglia dell’autore se lui non ha i soldi? E se l’autore ci ripensa o non ha i soldi e la sua famiglia non ritiene di doverlo aiutare, che devo fare? Devo fare causa all’autore per recuperare quanto ho perso? Voi, al posto mio, fareste causa all’autore?
Davide dice a un certo punto che si prenderà lui la responsabilità di tutto. Ma non è vero che può assumersi la responsabilità di tutto, perché io non sono lo stampatore che ti fa il lavoro di stampa, ti consegna il libro senza conoscerne il contenuto e buonanotte; io sono l’editore a cui hai ceduto i diritti della tua opera per metterla in commercio. Funziona come per i giornali, se un giornalista viene querelato per un articolo, insieme a lui vengono chiamati in giudizio anche il direttore responsabile e l’editore. Io sono responsabile quanto l’autore se il libro pubblicato col mio marchio rischia di diffamare qualcuno e io lo so. Se non lo sapessi sarebbe forse un altro paio di maniche, ma così è evidente.
E qui veniamo al vero succo della questione, per me. All’atteggiamento a mio avviso scorretto di un autore che invece di discutere con l’editore di un problema legato al suo libro, di cui sono corresponsabili, preferisce bypassarlo e farne un post su Fb costruendoci sopra “un caso di coscienza” per farsi bello con gli amici (perché di questo si tratta). Per quel che mi riguarda e che riguarda il mio modo di fare editoria in tale atteggiamento viene meno il rapporto di fiducia fra autore ed editore. Autore ed editore i quali – anche se a volte si scornano – dovrebbero darsi manforte, non sbugiardarsi pubblicamente, con un post in cui in sostanza mi si dice (ma non realmente a me, piuttosto alla platea dei suoi follower): “tu dici no, ma guarda che si può fare”. L’ho trovata realmente una cosa di pessimo gusto.
Quanto al collage in questione – che è anche bello ma diciamoci la verità non è nulla di nuovo o di particolarmente originale nel panorama italiano – aggiungo alla questione, per completarla, un punto su cui né io né Davide avevamo riflettuto ma che trovo importante. È stato il mio amico gallerista ad evidenziarmelo, lui fiscalissimo su tali questioni. Se l’opera – visto che si parla di opera – è stata pensata in un modo, l’opera deve rimanere in quel modo. Se contemplava, per le ragioni viscerali esposte da Davide nel suo post, il logo della Barilla, quello dovrebbe mantenere. Se la modifichi, anche leggermente, cercando il compromesso per farti pubblicare, non solo non risolvi il problema ma ci fai anche una pessima figura come artista, se artista vuoi chiamarti, che dovrebbe andare fino in fondo nella proprie scelte radicali, oppure non pubblicarla come forma di protesta.

3 Comments

  1. Mah io direi che Antonio non ha capito la questione – o nel suo ginepraio di “amici”, legali o meno, fa finta di non capire e non ci sta facendo una bella figura lui: io ho riportato casi comprovati di diritto internazionale che difendono la libertà di espressione e lui prosegue con le sue ciance da “il mio amico mi ha detto”. Non funziona così. Lo ripeto per chi è arrivato ora: non c’è nessuna denuncia, solo la volontà da parte dell’editore di evitare una possibile causa da parte dell’azienda citata.
    In questo caso l’editore può dire “non voglio pubblicarla”, è suo diritto, ma comunque dovrebbe ascoltare le ragioni dell’autore, cioè io, che dopo essermi confrontato con lui sull’argomento (gli ho scritto in mail e in privato) mi sono sentito rispondere “il logo va tolto, senza se e senza ma.” La mia opera, e non solo quella qui citata, e con essa il bagaglio di citazioni che si porta dietro (nessuno inventa mai nulla in arte) non può essere compresa se non ricorrendo all’uso che da essa ne deriva: il sarcasmo. Non sto dicendo che la Barilla è “nazista” o “fascista”: sto ironizzando su uno slogan. Ho dato la mia disponibilità a modificare l’opera per evitare all’editore le beghe che teme e ho dichiarato di assumermi ogni responsabilità. Più corretto di così! E qui concludo con un consiglio: a Lillo di farsi una risata, all’azienda di capire l’ironia 🙂

  2. Aggiornamento doveroso: la casa editrice Pietre Vive non solo si è rifiutata di pubblicare il collage incriminato, mi ha anche impedito di fatto di proseguire il contratto di edizione, ritardando di parecchio tempo l’uscita del libro per poi cestinarlo con un risibile pretesto. In tutto questo il contratto di edizione con Pietre Vive, da me firmato, non è mai stato messo agli atti. Dunque, non essendo legato da nessun vincolo alla casa editrice Pietre Vive, pur avendo vinto il suo concorso, a ottobre 2020 ho pubblicato “Istruzioni alla rivolta” con Eretica Edizioni. Il collage della Barilla è stato ovviamente mantenuto. Nessuno ha reclamato il ritiro delle copie dal mercato. Viva la poesia.

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