Alcune poesie da ‘Chiave di volta’ di Sergio Bertolino, Nulla die, 2018
1. A Sefton Park
(Costretti a scegliere il Sé.
In un certo senso colpevoli
anche di dove nasciamo
– oppure innocenti a oltranza?)
Ritorni a me finalmente, unica compagna, Solitudine!
Forse non tolleravi rivali in amore,
che labbra non ideali si posassero sulle mie…
Non c’è alcuna ragione
che mi suggerisca la mossa da fare, adesso.
L’identità è una presa in giro,
poiché diventiamo noi stessi solo quando
ci tradiamo. E traditi, risplendiamo di nuova luce.
Memoria. La più meschina fra le menzogne –
e la più necessaria.
Io semplicemente non sono.
2.
Sia pure per poco
fallo, sciogli i nodi celesti
che t’imbrigliano le ali, ardi
[…] nell’alta vampa,
nel puro assolvimento.
3.
Apro la finestra a un’incognita.
L’oro migliore
mi è amico «talvolta»,
come la vista di navi stranite
sul Mar d’Irlanda: disgela gli alberi
– per un nuovo commiato.
E finalmente deploro il marmo,
la pretestuosità del verso
e perfino l’alloro (quest’idoletto agnostico,
avvizzito con gli eroi nella bianca penombra).
Corteggerò lo sporco, l’arduo, il difforme,
quel che si affaccia al nonsenso
per metterne alla prova il nome…
Ma chiedo al tu uno sforzo di estensione
– niente è impenetrabile o arbitrario!
Richiamato alla terra, alla radice,
così disumanamente umano,
così umanamente disumano,
raccolgo il guanto della sfida.
4.
«Tutto cambia. Nulla è cambiato
– sii sempre insoddisfatto.
Qui-condannato ad erigere il nuovo
sulle macerie di ciò che lo è stato –
in apparenza – intuisci
l’alchimia che fa denso il vuoto?
E la complicità dei poli, il patto
tra le voci che muoiono distanti?»
Tutto cambia. Nulla è cambiato
– solo il tuo vago aspetto.
Vorrei spendermi
in qualche assurda guerra dello spirito,
crogiolarmi al pensiero idiota di un porto
verso cui dirigere – ansante – il mio vascello
in rotta con le ragioni del mondo.
Che non ci sia altro da esplorare
è l’idea che muove al metafisico.
O meglio, è la paura.
5. In limine litis
Due fuochi assieme
precorrono l’inferno;
la loro luce è morte,
logorio – disperata
fame –: ci s’illumina
fino a scomparire in un grido.