Site icon Inverso – Giornale di poesia

Manuel Moya – Pianto per Pier Paolo Pasolini

a cura di Filomena Ciavarella

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E quando chiuse gli occhi, le ruote smisero di girare sul suo corpo.

L’opera fu compiuta. I gabbiani, sulla spiaggia,

volarono spaventati, complici anche di quella morte.

Presto, nella notte profanata, altri teschi si unirono alla folla.

Gli uni attraversarono gli altri, alcuni toccarono gli altri:

la notte crebbe in un vomito di omero e tibia.

“Tutto, tutto fu compiuto.”

Ma non tutto fu compiuto: il mare continuava a sfiancare le rive

e un uomo stava morendo davanti a una luna senza fiato, assorta

Dissero che era venuto dal Nord, ma nessuno mai

Sapeva rivelare quando o per quale scopo cieco.

Ho dormito tra le rovine e rovistato gli uffici

Il sole azzurro di una carezza. C’era ancora tutto da fare

e voleva scoprirlo come madre o insenatura

che libera va attraverso i prati. La ferraglia

e le gru voltarono le spalle,

le case dove possono arrivare le lettere dall’Albania o da Detroit

Erano ancora in piedi nonostante la paura e il tarlo.

Quanta indifferenza spargevano allora i cespugli,

mentre il sud lo chiamava con un coltello tra i denti

e un ragazzo sdraiato sotto il sole sul tetto.

Senza fegato e senza cuore era già un tale monumento nazionale

come il nauseante palazzo di Venezia o il gesú.

Il suo era il graffito dell’enorme fallo sotto i ponti

del Tevere, una scia di sangue e seme che si versa nell’alba,

la dolce risata che correva da un palazzo all’altro mentre le lenzuola

cospirarono, rigide, nostalgiche, contro la sete del mondo.

Mancava tempo per i deboli, i pii e i semplici, i servili,

Dissacreranno il suo nome e celebreranno la sua punizione.

Le fogne di Roma presero le terrazze e il vecchio Tevere

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