Due frammenti da “Lilith. Un mosaico” (Sossella Editore, 2019)
19.
Il capodanno del duemilasedici lo passammo allʼArteria, un sotterraneo di Bologna, tra improvvisazioni rap e djset di musica elettronica. Ho conosciuto Giorgio, il ragazzo di Petra. La doppia vita di Lilith lo ha duramente colpito. Mi ricordo di Eléna, alcuni anni fa. Chissà qual era il suo vero nome. Un tempo camminavo per Perugia. Mi sono accorto di non avere più una cognizione del tempo linearmente scandita. Tutti abbiamo appreso in questi anni che lʼidentità non è altro che una sovrapposizione di nickname. Il gioco elettrico non ha prodotto sdoppiamenti, ha solo reso intellegibile ciò che prima era occultato. Il dominio della notte non svanisce più. Alle prime luci dellʼalba le sue scorie si solidificano in cronologia. Posso comprenderlo. Il trauma è pur sempre un battesimo a una nuova vita. Ma ogni parto è doloroso. La mia vita è una vita postuma, ho detto. So di essere morto da diversi anni. Petra si è data da fare con un ragazzo africano. Ci ha girato una canna, aveva voglia di raccontarci il suo naufragio. Ho offerto a Giorgio un cocktail, siamo usciti e abbiamo parlato. Lui vede tutto questo come una manifestazione di degrado. Ho suggerito di interpretarlo come una forma di fedeltà. Un antico culto dei morti, ho detto. Un rito familiare. Tutto consiste nellʼessere iniziati. Lʼuomo non è un essere immediato. Per questo interroga lʼoracolo. Per illuminare la notte di una più chiara definizione. Si scava una grotta quando la montagna è invasa. Il triangolo si capovolge. Lo vedi? Ora è un tempio alla Dea. Il tetto insorge dal sentiero sopra cui camminiamo. Si estende in maniera discendente, si interra. Lʼidea dellʼesistenza di Lilith non lo aveva mai sfiorato. Ora capisce che il suo bisogno di chiarezza ha determinato un più profondo occultamento della realtà. Ho provato a immaginare il ribaltamento di un barcone visto dal suo interno. Lʼautomatismo della percezione quando il corpo avverte il pericolo. Il ghiaccio delle acque, la luna piena. Il mio nome è Endimione, ho detto. Il mio nickname in chat. Lilith non poteva non catturare la mia attenzione. Le sue sillabe tintinnavano come unʼavventura. Non so più che cosa è vero e cosa è falso, ha detto. Tutto questo mi pare solo unʼallucinazione. Ti capisco, ho risposto. Poi siamo rientrati.
21.
Per un attimo pare di perdersi. Di non trovare più il sentiero che conduce alla fontana. La chiesa della vergine è abbandonata, invasa dalla polvere terrestre. Una ragnatela nuziale la spiamo una ferita riaperta una segreta serrata ferrata una feritoia una grata, non vi è ombra qui del figlio nellʼombra una statua mariana sul davanzale sono posti fiori freschi in un vaso dʼacqua.
Proseguendo ha inizio il bosco. Dopo una sbarra blu arrugginita. Una cascata dove beviamo come daini tra le pietre leccando si odono voci tra le foglie due farfalle si avvitano in una coppa di cielo intagliata come una scortecciatura azzurra tra le chiome verdi frondose. Non cʼè nessuno dice sono le voci della foresta scolpite per sempre nel concerto frusciante in cui lʼacqua sʼannuncia col suo mormorio interiore.
Preme lʼicona PAUSE. Due linee verticali, parallele, racchiuse in un quadrato. “Otto chiese qui formano la costellazione della Vergine. Un bambino viene salvato da un orso, molti secoli fa.”
Giorgio accende il notebook e legge la notizia: “Il cadavere di Brenda rinvenuto nellʼappartamento dello scandalo. Il mistero del computer immerso nellʼacqua. Gli investigatori lavorano al recupero dei dati.”.
“Cʼera una donna ai lati della scena, lunghi capelli neri mossi dal vento.”.
“Tu deliri.”, ha detto Giorgio.
“La maestra ha ucciso le processionarie.”.
Era un ricordo, qualcosa di sbagliato, sovraesposto, visto dallʼalto, obliquamente. Un abete molto alto, un cerchio infiammato. La I, la O. Lʼuno e lo zero. Una freccia verde. Un anello dʼoro.
Rimasi solo per porre un argine alla solitudine. Nessun amore da cui essere tradito. Nessun amico da cui essere dimenticato. Il più fedele, io. Il sempre innamorato.
Nel ritorno oltrepassiamo il filo spinato arrampicandoci su un albero crollato su un altro albero. Le radici strappate non cedono la presa è diventata tana, è diventata un antro di terra nera i tronchi formano una scala da cui guardare il bosco dallʼalto è tutto un mare di foglie ondoso. Lui si innalza e dice: “Non profanarti per uccidere il senso di colpa”.
Petra è rimasta in silenzio.
Torno in me riflesso uscito dal sogno il finestrino galoppante dal cunicolo decolla sopra il mare aperto. Una scrivania composta da tre tavole di legno grezze inchiodate striate venate da un occhio alla sinistra del bosco animato dal passaggio di una volpe cerimoniosa e da alcuni scoiattoli nel primo mattino. Il desiderio di una casa montana da ringraziare per la fatica della legna spaccata. Ho un dente spezzato, adesso. Non è mica semplice ricominciarla a ʼsta età. I quarantadue sono arrivati dopo i venti, scivolando. Sono rimasto immobile, in attesa che qualcosa si sviluppasse. E invece è crollato, verso il suo interno, come una clessidra. Un ipertesto incarnato e vivente ho detto ESSERE di fronte a un vecchio alimentari tramutato in antro. Chi siamo stati. In quale dimensione. Sotto la piana industriale il sangue dei morti abbevera le nostre radici. Insorgeranno, ma noi non sapremo riconoscerle. Perché nemica di ogni tradizione è lʼorigine dove il mondo muore. Una lastra bianca spettrale invade la finestra del questore. Il viandante fiaccato ne avverte il sovrumano gelo. Depone sulla superficie del mare il suo palmare lo lascia scivolare come una pietra smussata un vaso cultuale. Cerca nella posta indesiderata una rosa blu oltremare da stringere al bar fino a sanguinare. La fa precipitare nella sala del biliardo, dalle rampe delle scale. Non avremmo in ogni caso avuto parole da condividere, pensa. Ha pensato. Meglio salutarci così, attraverso un colore incongruo.
Lei innalza la corona del Burger King satura di colore. E questo è il tempo. E questa è la vita. Tutto sommato dolcissima nonostante il dolore cieco. Una ragione assurda anima entrambe le tragedie. Un incendio invisibile bifronte. Dentro la luce dei fanali pensa noi non abbiamo bisogno di morire a Londra. Questo è molto più grande e le serpi della Sibilla dice lo schiavo negro di ricerche professionali. Il malinteso è allʼorigine di questa attività di storia della letterature (sic). Raccogliendo cotone. Ridendo in faccia: AH, AH. Dicendo loro vogliono soltanto puntellare. Un tetto un sottoscala un soppalco un letto a castello un ostello bolognese nel 1823 a contratto conosciuta su facebook. Questa è la vita amici e questo è il tempo servito a rendere questa resa inservibile.