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Alessia Iuliano – Inediti da “Come chiamarti”

Ma ora che la rinuncia ha il volto
stanco del mio paese, ora che da sopra
a sotto tutto rovina in languore e pece
posso sapere come chiamarti
tu che resisti, che disegni
con mani fossili azzurri
la forma dei sassi, il latrato spossato
del mezzo cane, mezzo uomo
solo al selciato nel lezzo che trangugia
dal depuratore la città?

E se ha senso questa precarietà
sono forse io la gazza che si aggira
con l’ala frastagliata, la bocca dimenticata
tra le perle dei rifiuti a rovistare?

*


Mi sveglio dal sogno voraginoso
e scontento – essere qualcos’altro
qualcun altro e non riconoscere nei volti
i loro nomi. Tremo. Mi alzo.
Lo sapevi anche tu, prima di me
– potessi guardarti almeno adesso –
la paura ha il fiato corto, fuggo
nella cucina nessuno attende, e forse è
da rivedere anche l’attesa.
Valuto l’umidità al soffitto
come una lucertola nel suo habitat
guerriera mi scrosto la faccia dai residui notturni
faccio finta di niente, è confortante
mentire a sé stessi ma non dura

*


Le parole sono rimaste là
nell’angolo del letto lasciato
a metà lo spazio tra te e me.
Riposa ora che è estate
che caldo e salsedine fanno la pelle
aspra e graffiata e la pace antica
ripresenta il suo vero nome. Io sono
qui, dall’altra stanza ti veglio
ti lascio lo spazio del tempo, il modo
sommesso di un grazie, di dire
grazie e restare

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