I verbi rinunciano, i presagi non dicono
Dicono questi versi
di nulla che succede,
non descrivono fatti.
Resiste qualche raro verbo fossile:
sta, aspetta, disperde.
Questo vuole l’ebbra superficie:
al troppo dire, al morso dei ragni
opporre silenzî di arenili
boccheggii di meduse.
Sotto, dentro, diffidiamo delle albe:
ci serve notte, ancora
di radice e di seme
ci serve buio, dentro,
la sua morente schiera.
Qui, in superficie, i verbi rinunciano
i presagi non dicono.
*
Senza vanto procedere
Senza vanto procedere, e senza
timore, una presenza dai troppi
occhi camminerà accanto,
un rumore di guerra
il frastuono del temporale
le campane, il canto, il silenzio.
Non comprendo di chi è la mano
che mi porta e che seguo.
*
Di quale possesso, di quale nazione
Di quale possesso, di quale nazione
di quali guerre e nemici
qui non avrai timore?
Qui, dove puoi riposare
perché è con l’acqua
che laverò i tuoi passi, con la rugiada
la bocca
*
L’odore della foresta
È tuo, dunque, il profilo
che le finestre non sanno nascondere,
tua la mano che discosta le imposte
per offrire il boccone?
E chi, come la diffidente martora,
s’avvicinò e assaggiò e mosse
gli occhi come a dire è buono e ne mangiò
metà per fame metà per ringraziarti
prima che l’odore della foresta
lo richiamasse a sé?
*
La latitudine non è indicata
La latitudine non è indicata,
tundre, deserti, erbose pianure
la follia dei venti sperde l’odore
del percorso.
Un vociare di cifre
dissimula la zolla consacrata.
Non riconosco le costellazioni
aspetterò il chiarore dell’aurora.