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Federico Preziosi – Variazione Madre. Nota di P. G. Santella

Nota critica di Pasquale Gerardo Santella

Guardando la vetrina

Quale è l’orizzonte di attesa di un me lettore che, avendo tra le mani il “particolare” oggetto di carta, che è il libro di Federico Preziosi, si soffermi sulla “vetrina” che invita ad entrare nell’universo del testo?
Sono colpito anzitutto dalla copertina di colore nero sulla quale vedo un volto di donna, ma con un che di androgino, tagliato a metà, atteggiato in una smorfia di dolore e solcato da lacrime che dall’occhio umido e semichiuso scorrono lungo la guancia fino al mento. Poi leggo il titolo Variazione Madre, cercando un filo tra i due elementi, l’immagine e le parole scritte, che appaiono sulle soglie del testo. Madre mi sembra dire immediatamente l’ “oggetto”, la protagonista dei versi, ma so che la parola madre nell’arte e in poesia in particolare è un “topos” che con i suoi attributi può rinviare ad un surplus allusivo, che potrò scoprire solo nella lettura. Impressione questa che mi è confermata dalla parola Variazione che precede Madre, che sembra proprio alludere alle varie declinazioni semantiche del nome.
Ma Variazione ha anche un suo significato nell’arte della musica, dove indica le modifiche che può subire, rispetto alla sua forma originaria, la riproposizione di una idea musicale. Un invito, dunque, a soffermarmi sugli elementi fonici del testo, a fare attenzione al suono oltre che al senso? Certo in questo caso la parola variazione potrebbe riferirsi nello stesso tempo sia al significante che al significato o, di più, alla loro interazione. Una prospettiva interessante, da verificare.

Un lessico corporale

Entro nello spazio del testo e leggo la poesia di apertura del volume, che comincia con il verso Sono nato dall’incesto di una madre. Rilevo subito un lessico “corporale” mani, ventre, trachea, corpo, cute, labbra, sesso, volto, cui seguono, attraversando i testi successivi, dove ricorrono frequentemente, le parole carne, piede, mento, seni, labbra, pancia, grembo, denti, gola, collo, nari, lingua, gambe, ciglia, occhi, polsi, fianco, bocca, reni, addome, testa, petto, palmi, pelle, vulva, pupille, talora ripetute in modo ravvicinato, come nell’anafora La tua mano stringe il grembo / la tua mano parla di fluenze e incerta / la tua mano di vigore è senza grazia, una mano / che sottende l’attimo, che carezza l’anima (p. 46). Mani che ritornano in “Virgo” ripetute ben undici volte in diciannove versi (pag. 64) , che sembrano materializzarsi e animarsi sulla pagina, che si intrecciano tra loro, proteggono, lisciano, strofinano, si muovono ad incontrare le altre parti del corpo. Elementi smembrati di un corpo che occupano uno spazio sinestetico, dove essi trasmettono e sollecitano tutta la gamma di percezioni sensoriali, ma prevalentemente quelle tattili, in modo che le parole dette dal poeta si scaglino a colpire e rimbalzare empaticamente sul corpo del lettore.

Il dolore

E, ritornando al testo introduttivo, se il corpo, comprensivo di tutti gli elementi che si rifanno al suo campo semantico, è l’oggetto fisico, sensibile dominante, passando dall’area delle sensazioni a quella dei sentimenti, la parola prevalente sembra essere “dolore”, non solo per se stessa, ma anche per le immagini che lo richiamano, per le situazioni di cui è causa o conseguenza: un sangue rappreso; un vagito doloroso; recise labbra; occhi in lacrime; pregavo le falene di mangiarmi. Anche in questo caso il segno del dolore attraversa i vari componimenti quasi come un tema musicale che con variazioni trama i vari componimenti:
dall’incipit de “La camera”:
La camera è il dolore: / la disambiguazione del corpo (p. 27) a
ad “Atom Hearth Mother”:
sono aperte le ferite;
certe voglie che mi sbocciano sono rose a sanguinare/ nel silenzio; corpo trafitto, le labbra spaccate nel ventre;
mi si frammenta la carne;
Mi si spezzò in nevrastenie / la primavera convulsa;
a “Non si vive d’aria”:
E vibrava di tutto il pianto e il dolore (p. 42);
Io succube Io devastata(p. 43);
non danno pace gli umori né le eiaculazioni d’inchiostro (p. 45);
a “Virgo” :
Ho un male così cane che non immagini (…) io che bevo stille di sgomento (pp.68-69)

Il ventre della madre

Ma prima di giungere al nodo, a parer mio fondamentale, del fare poesia, mi pongo alcune domande.
Fin dal primo testo assisto alla metamorfosi dell’io lirico maschile in quello femminile (Divenni Figlio, Amore, Madre e infine Donna). L’uomo indossa la maschera di una donna. Un gioco letterario? Una identificazione empatica? Una trasformazione sostanziale o un travestimento superficiale, come sembrerebbero dirmi il riferimento alla mascara e al miele, che richiamano gli attributi di bellezza e seduzione della donna? Un indossare il corpo di donna, mettendo insieme tutte le sue membra sparse, come suggerisce la minuziosa e frequente elencazione di tutte le sue parti, per riviverne carnalmente piacere e dolore? O un calarsi completamento dentro di lei, anche nel suo spazio intimo e psichico? E, infine, il poeta costruisce una particolare figura di donna o una figura di donna universale?
Certamente il soggetto femminile è visto nella sua funzione di madre:Non pensavo poter essere una madre (pag. 31); Essere/una madre e una donna /una sola cosa (p. 32); io madre e amante (p. 55). Il che è confermato anche dalla voce femminile che usa un linguaggio carnale, che rimanda continuamente alla sfera semantica del ventre; e ventre, con le sue varianti di grembo e pancia risulta essere la parola corporea prevalente della raccolta.
Non a caso la proprietà della madre di essere fecondata e di generare viene sottolineata attraverso l’immagine del ventre:
(…) un sangue rappreso in due palmi di mano / cosparso sul ventre (p. 19)
E grandi labbra spaccate nel ventre (p. 36)
Un grembo ricolmo come quando s’accompagna / con la vita che qualcuno ha inflitto (p. 45)
Io non resisto in questo appetito che sventra / la pancia / a questa lingua che carezza e poi squarcia (…) disteso di fianco / mi sta rannicchiato / col volto sul ventre / trafitto e silente che accoglie / piangente / il suo ultimo figlio (pp. 54-55)
(…) Questo mare che mi esplode /dalle viscere dal ventre
Adesso il talamo non ha / altri occhi che per il ventre. / No, inutile dire / non ti riesce di andare / oltre il ventre. (p.75)
E lo sventramento è legato proprio alla funzione del generare:
Ed il frutto infine venne (p. 31)
(…) Per ogni corpo un grembo / e ad ogni grembo un fiore (…) Era in queste primavere,mi sventravi dentro. (p. 60)
E il ventre, attraverso il quale la donna si realizza come madre, comporta una condizione di dolore. Un dolore provocato dalla sottomissione e dalla violenza, come indicano i “segni” laceranti, che lo determinano: la penetrazione, lo scavo, la ferita, il sangue, lo squarcio, il pianto, l’esplosione, la spaccatura, la trafittura. Un dolore che porta umiliazione, ma a cui la donna resiste.
E aggiungo che la parola stessa ventre, che ormai posso definire la “parola-chiave” del testo, con i due suoni semiaperti e, di cui il primo tonico, esprime una musica dolente, come un accorato gemito di pianto, interrotto dal gruppo ntr, suono aspro, che richiama uno strappo, uno squarcio, una violenza. Una parola, dunque, materica nel senso di unione inscindibile di res et verbum.

Una possibile empatia

E qui Preziosi tenta una difficile operazione di comunicazione che implica un rapporto triangolare tra l’autore, l’io femminile protagonista dei versi e il lettore. L’autore maschile si fa personaggio femminile per la volontà di vivere e soffrire lo stesso dolore della donna sul suo corpo, ma per universalizzare il dolore della madre e renderlo condivisibile dal lettore attraverso un procedimento di identificazione simpatetica, deve andare oltre la sua empatia con il personaggio, prescindere dalla sua esperienza contingente e soggettiva.
E’ questo il problema di tutti i poeti che vogliano trasmettere i propri sentimenti al lettore, in modo che egli possa proiettarsi e riconoscerli in essi, e “sentirli” come propri. Non è semplice, tanto più che nel nostro caso, come abbiamo detto, non c’è un rapporto binario diretto autore – lettore, ma si interpone l’intermediazione dell’io personaggio in cui l’autore si è modificato nella finzione poetica.
E qui siamo all’essenza del discorso poetico che investe la capacità, che non sempre si realizza, da parte del poeta, di coinvolgere il lettore in un idem sentire che si trasformi in consapevolezza intellettiva.
Se il poeta, come dice Pessoa, è un fingitore consapevole, tanto da arrivare “a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente”, può davvero condividere una parte di se stesso attraverso la poesia? E il lettore può comprendere il dolore del poeta? E la poesia stessa ha la capacità di comunicare il dolore o qualsiasi altro sentimento? Ed allora, ritornando alla mia esperienza di lettore, nel caso particolare il poeta è riuscito (in tutto o in parte) a farmi entrare in consonanza con il suo stato d’animo e il suo pensiero attraverso le parole della poesia? Posso io sentire il dolore della donna come se fosse il mio? Che se ciò non fosse possibile dovrei ammettere che il dolore è un sentimento individuale che poeta e poesia si illudono solo di comunicare e l’unica conseguenza positiva sarebbe l’effetto consolatorio che da questa finzione o illusione si può trarre.

Questione (solo e sempre) di lingua

D’altra parte considero che la poesia è il tentativo di esprimere in forma comunicabile quanto è incomunicabile in natura. Come? Attraverso la lingua, solo la lingua, e le modalità stilistiche attraverso le quali essa si esprime. Entrano in gioco le risonanze e vibrazioni foniche dei suoni che generano note musicali che richiamano per analogia i sensi delle immagini mentali; le parole che si irradiano in amplificazioni polisemantiche, il filo di corrispondenza che lega elementi eterolivellari, il surplus allegorico di cui si caricano “oggetti” e situazioni, l’impasto linguistico che richiede di essere sentito ma che stimola anche l’intelligenza per essere capito.
Ne rilevo alcune caratteristiche, ritornando alle Variazioni del titolo, stavolta senza ricorrere ad esempi tratti dai testi sia per evitare un mono-tono elenco sia per lasciare al lettore il gusto della scoperta (del resto la poesia è anche gioco).
Variazioni, lo ripetiamo, non attiene solo al significato, ma anche ai significanti, in particolare al ritmo: variazione nella lunghezza del corpo della poesia: dai 52 versi di Sara ai 5 di un testo di Non si vive d’aria; variazione nella lunghezza dei versi, da 19 a 2 sillabe, con versi composti di una sola parola che richiama l’attenzione del lettore per il suo senso-suono, doppio spazio bianco che interrompe lo sguardo e l’ascolto offrendo una pausa al flusso del discorso e alla continuità fonica e generando sospensione e attesa; variazioni nello scorrere del ritmo che ora rallenta ora si velocizza a secondo dei gruppi consonanti di cui sono formate le parole o dell’uso che si fa dell’enjambament, ora con funzione di spezzatura ora di prolungamento; ed ancora, riferendoci ancora alla fonè, parole che si richiamano tra di loro per rima, anche interna, o consonanza o per la persistenza /riecheggiamento degli stessi suoni. Artifici che producono una musica che genera una corrispondenza tra significanti e significati e trasmette percezioni sensoriali ed emozionali, che toccano il nostro corpo, che noi riceviamo ingoiamo assorbiamo assimiliamo fino a sentirle come nostre, entrando in consonanza fisica emotiva intellettiva con lo spazio costruito dal poeta con “l’unico laterizio” della parola.

Dunque…

Ritengo, dunque, che la costruzione poetica di Preziosi sia riuscita, anche se non perfettamente (per fortuna!). Qua e là si avverte qualche distonia, che però non stride con la coerenza della composizione. Il linguaggio è generalmente fruibile, anche se vi sono metafore non immediatamente comprensibili: il che non deve preoccupare il lettore, dato che nessuna interpretazione può mai rischiarare del tutto una poesia, che conserva sempre una spessa parte oscura, anzi deve stimolarlo a dare al testo il suo contributo, un diritto questo che gli è riconosciuto dall’autore stesso.
Perché, infine, io lettore ritengo Variazione Madre riuscito?
Perché mi ha disturbato.

Articolo apparso in formato ridotto su Il Pappagallo

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