Fabrizio Morlando – Poesie da “Caramelle dagli sconosciuti”

I buttati via

Anche dentro il corpo la tenebra è profonda,
e tuttavia il sangue arriva al cuore, il cervello
è cieco e può vedere, è sordo e sente, non ha
mani e afferra, l’uomo è chiaro, è il labirinto
di se stesso.


Josè Saramago

Dopotutto ci si stanca presto della propria faccia.
Si fa il vuoto attorno a sé, lasciando alla luce segreti,
parole mozze, labirinti espropriati da qualsivoglia Minotauri.


Se solo all‟occorrenza ci si potesse dimenticare di se stessi,
di quello che si è vissuto, cavarsi gli occhi con cui si è veduto,
una tregua nell‟esistenza convulsa.

*

Oggi&domani


Cosa puoi vedere in un vagone deserto quando anche l’aria è sovrappeso
e qualcosa sotto i tuoi piedi inizia ineluttabilmente a scricchiolare per poi
venire giù a rotta di collo, tutta in un colpo, franando come se stessi
calpestando la schiena di un grosso animale di pietra
o una grande testa di cazzo dell’isola di Pasqua.


I giornali di oggi saranno i cappellini di carta
a forma di barchetta in testa agli imbianchini di domani.

*

Anni fa

Il sacco con la mia roba per il calcetto è sempre al suo posto,
stravaccato in un angolo, sembra una pancia vecchia e floscia,
tutto coperto di polvere e di ombre,
se ne sta tranquillo e beato nella pace della stanza,
all’interno maglietta e calzoncini spaiati ancora sporchi e sdruciti,
lo disfo con ritualità, così lentamente per prolungare
quella piacevolissima sensazione, un odore di familiare
di prati calpestati, vengono fuori ancora le grida, le nostre voci,


anni scivolati velocissimi sul ghiaccio del tempo.

*

Abisso (for dummies)


Nati fra le fauci di un giorno qualsiasi,
nel centro geometrico
di un maelström immobile,
ridicoli pezzi di carne fra
denti meccanici che squartano e tritano
e riducono allo stremo
clandestine speranze, abissi di luce,
intere vite spese morendo.

*

Meccano

Roghi alti fino al cielo s‟alzano dai nostri corpi in combustione,
dove domina la giovinezza e l‟inettitudine, dove si schianta l‟universo
intero e cresce e s‟espande in una catapecchia di memorie
alle pareti la nostalgia di cosa era e di cosa poteva essere,
mentre le stelle si orientano con le torce a led dei nostri Smartphone
nell’arco di trionfo delle tue braccia a pezzi i miei confini umani si fanno fiumi
ed in quanto fiumi si perdono in un bicchiere d‟acqua, tenere tenebre in fiore
d‟anice fra i tuoi capelli grassi, un pallido fantasma di nicotina
fra le mie labbra disegnate, non allenate ad abbandonare lo stato inerziale
di silenzio, pratichiamo e siamo campioni di atletica pesante,
io le goffe sembianze del pachiderma in viaggio ed il pallore sconvolto
tu due impianti elettrici di produzione in mezzo alla faccia gibbosa
come un paio di uova al tegamino, rannicchiato e meschino nel tuo delta
con gli occhi supplichevoli di chi mendica per sé pochi radianti di mondo,
noi siamo colori primari, estremi dello stesso segmento,
viviamo nell’impressione che tutto si possa mettere a posto,
che tutto si debba aggiustare, che la vita sia un meccano di viti,
una manciata di dadi e bulloni e ingranaggi ben oleati,
un congegno da smontare e ricomporre a nostro piacimento,
ma non è così, c‟è bisogno che le cose vadano in pezzi,
mille schegge sempre più piccole che possano entrare nelle cicatrici dei secoli
fino ad infettarli a tal punto da richiederne l‟amputazione,
sfuggire ad ogni presa, sfuggire ad ogni impresa,
saltare fuori da ogni enciclopedia, poter dire orgogliosi:
noi non abbiamo sprecato la nostra vita.

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