III
La luce che muore sulla carta, si è spenta
tutto è blu e celeste e bianco e triste
gli occhi, le labbra avvolte nella placenta
la puzza della zuppa di prugne e menta
la fragilità dell’odore che viene dalle
case sul fiume che straripa dalle staccionate
in fondo ai pozzi e alle campagne, verdi e rase
o alle paludi di fango e miele avvelenate
provi a combattere la tua strega, a farla
amica ma lei ti tocca e ti sporca il collo e la
faccia ti affonda le unghie dentro le dita
tu la odi, la ami, l’accarezzi mentre ti
bacia prima che questa canzone sia finita
Il canto dell’allodola addormentata è lungo è
un suono ardito che sfugge al suo schiamazzo
e sotto le foglie nasce già l’ultimo fungo
che mangia il bambino libero per non diventare pazzo
*
XXII
Questa giostra perfetta, senza vie d’uscita la
storia finita, la carta fedele e piena di ricordi
il miele delle api bianche
anche la foresta sa quello che accadrà
questa mano che scorre, che mi porta via
l’odore del lampione, giallo, infinito
che corre lungo il fiume di ottone
il dito, lo struscio lento delle scarpe
dei piedi tristi che mi porto appresso
il sesso, infilarti dentro le parole
cercare la saliva nelle nostre gole, ridere, disperato
ed è pieno l’ultimo quaderno
l’inferno
Da buon marinaio
un paio di bicchieri sapranno cosa
fare un mare pieno di fuoco
il gioco del pesce vivo sulle casse
le rimesse bagnate d’acqua salata
la giornata finisce col finire del pensiero