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Spostamenti #3 – Laura Liberale

SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

a cura di Giovanna Frene

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Unità stratigrafiche

In archeologia la scavo stratigrafico, come avviene per la geologia, è una metodologia che permette di individuare diverse unità stratigrafiche, intese come sovrapposizioni, naturali o artificiali, di elementi che indicano una successione temporale di eventi depositati sul terreno e che lo vanno a formare. Si tratta dunque di tracce di periodi e fatti diversi, ed è singolare pensare che, oltre all’eventuale convivenza su di uno stesso strato di elementi riferibili a periodi contigui ma diversi, spesso quello che ci arriva è un elemento di significato minore di un’epoca storica passata – un coccio di terracotta, un utensile ecc.

Nelle Unità stratigrafiche di Laura Liberale accade esattamente l’opposto: vengono restituite nel presente stesso alcune unità stratigrafiche del rimosso inerente alla morte, veicolanti elementi reali e (ancora) attuali, tali da apparire alla percezione dei contemporanei (e quindi dei lettori del libro) come puri reperti singoli, quasi disaggregati, e non invece come paesaggi vivi tridimensionali, omogenei e organici tra loro, come di fatto sono: un’intelaiatura coerente e continuamente agente sull’attuale – non invisibile, però, ma ignorata, rimossa appunto, perché spesso si tratta di un presente indigesto, benché reale.

Laura Liberale è indologa e tanatologa, ergo non stupisce che da sempre – e non si facciano per questo paralleli inutili con autori coevi – , sia in prosa che in poesia, cammini con verità e leggerezza per quei terreni che per altri diventano scivolosi e artificiali, anzi per quell’unico terreno della finitudine umana che assume nel corso dei secoli volti diversi, pratiche particolari, crudeltà sempre nuove; e tuttavia nihil novi sub sole, se sotto le maschere risplende sempre la luce liminare di morte. Liminare, perché come nella prima sezione Tanatoestetica, a chi spetta la cura del corpo morto non rimane che il mistero della superficie inerte, ancora umana e non più umana (“finché persiste un qualche tipo di commercio fra vivi e morti / quella della signora S. continua indiscutibilmente a essere / una mano”), e sempre assolutamente connotante un unico e singolare destino (“quello che avviene sotto chiamalo / l’inespugnabilità / del totalmente solo”).

Si spinge dunque anche fino alla soglia dell’essere dal punto di vista di questo mistero, chi ha cura dei morti, ed è in questo caso che entrano in campo le tentate reincarnazioni, le tecniche virtuali di riproduzione dell’immagine dei morti, le precognizioni inconsapevoli di morte nei tweet raccolti in siti specialistici, e (come nella sezione I mezzi) coloro che raccolgono la “corrente in piena” di ciò che i morti dettano: di nuovo, tutti elementi, sparsi ma connessi, di una stratigrafia tanatologica. La correlazione tra fatti e segni linguistici liminari, e dunque reliquie stratigrafiche presenti, viene rilanciata nella seconda sezione, che, partendo dall’assunto di Derrida (declinato già nel titolo, Animal-Animot-Animort) secondo cui l’uomo si sarebbe arrogato il diritto di declinare sotto la parola “Animale” indistintamente tutti i singoli animali, fatto che comporta il riservare solo alla specie umana il diritto alla parola, togliendo a tutte le altre il diritto alla stessa facoltà, propone come il filosofo non già di dare una parola impossibile agli animali, ma di pensare all’assenza della parola in maniera diversa da quella di una privazione, puntando su altre facoltà quali fiuto e odorato nel rapporto dell’uomo con loro.

Gli animali, suggerisce Liberale, sono anch’essi dunque un’unità stratigrafica, ciò che l’uomo è stato un tempo e che forse non vuole più vedere di sé; questa rimozione è strettamente legata all’uso che l’uomo fa nella contemporaneità del corpo dell’animale, sul quale attua le più concrete violenze, a cominciare da quelle tecnologiche e genetiche (la pecora Dolly, il topo transgenico MITO-LUC), fino a quelle intellettuali, incurante di ogni forma di empatia parentale. È in questa sezione che la stratigrafia si allarga diacronicamente (fino a toccare per esempio la “veggenza” degli elefanti del circo di Pompei), ma specialmente qualitativamente, invertendo il suo punto di vista nella patente dimensione amichevole degli animali verso l’uomo, che avrebbe dell’incredibile (come il caso del ragazzino naufrago salvato dai delfini), se non fosse invece incredibile la dimenticanza dell’uomo del suo essere anche natura. Allora è da questo sguardo primigenio ed empatico che la morte potrebbe filtrare verso l’uomo in una luce diversa, finalmente e davvero naturale, come parte del mondo: “si guarda ciò che accade / senza saperti dire se la luce / viene da te, dal tuo pulviscolo / o dalla lampada, o da entrambi”.

*

pensare di chiamarla la “non più mano”
per la definitiva cessazione funzionale

ma finché alla signora S. stendiamo sulle unghie
lo smalto rosa a coprire il vecchio rosso smangiato
finché teniamo tra le nostre le sue dita artiche
finché persiste un qualche tipo di commercio fra vivi e morti
quella della signora S. continua indiscutibilmente a essere
una mano

*

gli abiti confezionati per i morti sono aperti dietro
perché possano sgusciare via senza essere trattenuti

il cuoio delle scarpe dei morti è cedevole
perché non desistano dal tornare sui loro passi
nella nostra direzione

*

la pelle dei morti non assorbe più

finiti gli interscambi
la flessibilità della barriera

quello che avviene sotto
avviene al chiuso ermetico
ti taglia fuori

il morto è già incassato nella pelle
prima che in zinco e legno

quello che avviene sotto chiamalo

l’inespugnabilità
del totalmente solo

*

si china sul suo morto e coi capelli
gli asciuga la bocca gli spinge in gola
le parole silenziate che schiumano

*

laboratori

con terra pietre e carta
creano il loro funerale in miniatura
“questo è lo scivolo dove ho conosciuto il mio amore”
sempre grata e gentile
“ci metto un fiore giallo”

poi c’è chi chiude il tutto
con la busta di nylon del Famila

ed è a questo punto che piangi

*

un Mezzo parla di vibrazioni e pineale
al che tu scivoli via:
Cartesio, sì, ma soprattutto
la ghianda che tuo padre
al mare faceva calciare
a tua figlia per gioco

che tutto di questo sia salvo

non un attimo di meno

*

quando il gatto di Jacques Derrida fu sul punto di morire
guardò quell’uomo che gli era capitato in sorte
e percepì in lui un disagio ben diverso
da quello che fiutava se Jacques si ritrovava
nudo al suo cospetto

adesso sotto l’ondivago ciuffo bianco
Jacques non s’interrogava più
sulla natura dello sguardo del suo gatto
ma si spandeva forte in paura e disorientamento

era dolore nel dolore di un altro
che finalmente sentiva di non essere più l’Altro

*

lo schiavo indiano crollò sulle ginocchia
quando vide gli elefanti nell’arena
muoversi in cerchio, alzare i loro lamenti
senza reagire all’attacco degli uomini

seppe così che Pompei era perduta
quei barriti convocavano le nuvole
più fosche del vulcano, non importava
in quanto tempo, Pompei era perduta 

ignoravano, gli stolti cittadini
che una volta gli elefanti erano alati
strettissimi congiunti delle montagne

un cerchio sacro di diciotto animali
mandati a morte. Pompei era perduta

*

come svanisci, amato
ti nebulizzi piano
particole di te si innalzano
frammiste ai vortici di polvere
vai disperdendoti
ed è impossibile afferrare
i tanti in cui ti sfai, tenerti

si guarda ciò che avviene
senza saperti dire se la luce
viene da te, dal tuo pulviscolo
o dalla lampada, o da entrambi

*

forse tutti ci spegniamo accendendoci di azzurro
propagando dal ventre un’onda
un bengala di fine festa

lo suggerisce la chimica di un verme:
morire, inglobandosi nello spettro della luce

*

Laura Liberale è poeta, scrittrice, indologa e tanatologa. Ha pubblicato i romanzi Tanatoparty (Meridiano Zero 2009), Madreferro (Perdisa Pop 2012), Planctus (Meridiano Zero 2014); le raccolte poetiche Sari – Poesie per la figlia (Edizioni d’If 2009), Ballabile terreo (Edizioni d’If 2011), La disponibilità della nostra carne (Oèdipus 2017); i saggi indologici  I mille nomi di Gaṅgā  (Edizioni dell’Orso 2003), I Devīnāmastotra hindū – Gli inni purāṇici dei nomi della Dea (Edizioni dell’Orso 2007), I nomi di Śiva (Cleup 2018). È presente tra gli autori di Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012). 

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SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.

La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.

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