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Gianluca Ceccato | Poesie

a cura di Ilaria Palomba

Tremare è come mordere la fede
di un luogo senza nome dietro
a muscoli, organi e ossa,
dove restare è comunque
attraversare le umide mattine,
brevi ruote del tempo.

*

Procreare carne viva rimuta il clamore del primo cancello,
quello in cui fummo fratelli desiderati,
madri scomparse, padri raffermi al latte dei giorni,
d’ora in ora acido conservatore ai canali delle mani che due sono, soltanto due,
la destra all’invisibile, la sinistra alla carezza che ci fa bambini la sera,
quando ancora nuotavi e il vento ti respirava la schiena dalle stanche lotte.

*

Vorrei dirti:

Ho ritagliato me stesso, una volta al petto, poi dritto allo specchio,
lì dove non mi vedo giovane ma putrido vecchio,
un orecchio alla veranda, un braccio al corpo della notte,
la sua mano a guardare il buio,
dove l’ascolto non è altro che interminabile parola, insostenibile attesa.

*

Ti dico:

Su una collina il funerale, una famiglia al dirupo, poi dritti a casa,
lì dove non si declama il verbo ma marcia frase, un cucchiaio a scavare gli aggettivi,
un puzzo a demarcare il lutto, la sua scia a detonare le discussioni,
dove domani e sempre ci sarà un inutile vanto, ovvero la santa pretesa di avere una logica nel dolore,
associare termine a parola, sputare la grammatica agli sconosciuti.

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