a cura di Giovanna Frene
da Riparare con l’oro (PeQuod, 2020)
In questa casa lontana
io non ti vedo se non dieci anni più giovane
ancora cammini e mi parli sapendo le parole che dici
è stato così facile dimenticarsi di te
mi chiedo se capiti o se è stata una scelta
come farti morire, se non per davvero, almeno nel pensiero.
*
Apro le tue porte quiete e la vetrata che sembra acqua
hai alberi che ti crescono dentro come figli
e ti fai leggere seguendo ogni crepa e superficie irregolare
il difendersi del legno tarlato e le vene calde del marmo
i fili d’edera sospesi ai balconi di pietra
pende il tempo dai tuoi muri, perso nell’eco delle scale
– un battesimo ogni volta che torno da te –
toccare le piastrelle fredde della cucina in ombra
e accarezzare il cane trafelato dalla corsa
appoggiando una mano al noce
sperando di coglierne il battito.
*
Immagino il nostro cane la domenica mattina
tormentarmi per portarlo al parco nell’aria gelata
le mani ghiacciate nelle tasche del cappotto
a stento rigirano le chiavi di casa
e i pensieri delle otto e mezza del mattino
che – lo riconosco – hanno sempre una loro grandiosità
i traslochi, la spesa, i soldi, i genitori anziani, le ferie in arrivo
aspetto che lui svelto al richiamo risponda
poi torniamo a casa
scodinzolanti e grati l’un l’altro
per esserci alzati presto
per non aver sprecato tempo.
*
Sono le otto e mezza e c’è ancora luce
e ancora ringrazio, come se mi fosse prestata,
ho gli odori intensi della fioritura nel naso
e l’allergia fisiologica del cittadino
su un treno che corre per campi e risaie
intorno ai binari le piante goffe cercano di adattarsi
di trovare spazio e accomodarsi
ma i pali dell’elettricità anche avviluppati da edera e noccioli
sono sempre pali che come un metronomo
scandiscono il mio ritorno a casa.
*
(Le figlie uniche si scrivono lettere)
Ci scriviamo che ci manchiamo a chilometri di distanza
come fossimo ancora stese lunghe nel nostro letto
con le lenzuola con i fiori azzurri alla fine di ogni estate
se solo mi ricordassi di dirtelo più spesso
e non lasciassi tutto all’ovvietà del bene
perché hai appoggiato l’orecchio piccolo alla pancia
per sentirmi battere il cuore
forse non ci troveremmo così disperse.