Dylan Thomas | Poesie II

a cura di Mattia Tarantino
traduzioni a opera del curatore

[n.d.r.] Tra il 2019 e il 2021 queste traduzioni sono apparse su Menabò, Iris News e Poetarum Silva. Le riportiamo, da oggi, anche tra le pagine della nostra rivista. La prima parte è stata pubblicata sabato 26 giugno. Per i versi in lingua originale cfr. Dylan Thomas, Collected Poems 1934-1953, Everyman, London, 1993 oppure The Poems of Dylan Thomas: Centenary Edition, New Directions, New York, 2017.


La forza che nel verde stelo guida il fiore

La forza che nel verde stelo guida il fiore
guida i miei verdi anni; quella che fa appassire
le radici degli alberi è la mia distruttrice.
E non so dire alla rosa storta della mia
giovinezza piegata dalla stessa febbre invernale.

La forza che guida l’acqua tra le rocce
guida il mio sangue rosso; quella che secca
alla foce i torrenti i miei rende cera.
E non so urlare nelle mie vene come dalla foce
della montagna la stessa bocca succhi.

La mano che gira l’acqua nello stagno scuote
le sabbie mobili; di quella che lega il vento fischiettante
la vela trascina il mio sudario.
E sono incapace di dire all’impiccato come venga
dalla calce del boia la mia argilla.

Le labbra del tempo si attaccano all’origine;
l’amore cola e si rapprende, ma il sangue
crollando placherà le sue ferite.
E sono incapace di dire alla bufera come il tempo
abbia truccato il cielo attorno agli astri.

E non so dire alla tomba dell’amante come strisci
lo stesso verme storto al mio lenzuolo.

Ci fu un tempo

Ci fu un tempo in cui i danzatori coi loro violini
potevano frenare le pene nei circhi dei bambini?
Ci fu un tempo in cui potevano piangere sui libri,
ma il tempo pose il verme sul loro sentiero.
Sono in pericolo sotto l’arco del cielo.
Ciò che mai sapremo è più sicuro in questa vita.
Sotto i segni del cielo coloro che non hanno braccia
hanno mani più pulite e, come il fantasma solo illeso, privo
di cuore, così vede meglio il cieco.

Non andare ingenuo in quella buona notte

Non andare ingenuo in quella buona notte,
a giorno concluso i vecchi dovrebbero ardere e delirare;
insorgi, insorgi contro la luce che muore.

Nonostante i saggi sappiano giusta l’oscurità
alla fine, quando le loro parole dividono la luce,
non vanno ingenui in quella buona notte.

I buoni, con l’ultimo cenno, piangendo per quanto
brillerebbero danzando in una baia verde,
insorgono, insorgono contro la luce che muore.

I selvaggi che presero il sole e cantarono
e troppo tardi capirono di averlo ormai afflitto,
non vanno ingenui in quella buona notte.

Chi solenne, vicino alla morte, si accorse cieco che i ciechi
con occhi di meteora potevano gioire,
insorge, insorge contro la luce che muore.

E tu, padre mio, su questa triste altura ti prego
benedicimi, maledicimi con le tue lacrime feroci.
Non andartene ingenuo in quella buona notte.
Insorgi, insorgi contro la luce che muore.

Oh fatemi una maschera

Oh fatemi una maschera e un muro per celare alle spie
dei vostri occhi aguzzi e smaltati, gli occhiali alle unghie
lo stupro e la rivolta negli asili del mio volto
lo strano scherzo dell’albero per bloccare i nemici scoperti
la lingua baionetta in questo indifeso pezzo di preghiera,
questa bocca, e la dolce tromba delle menzogne,
scolpito come scemo nella quercia e un’antica corazza
per salvare il cervello fiammeggiante e spuntare chi esamina,
e un dolore da vedova colmo di lacrime molle alle ciglia
per velare la belladonna e lasciare gli occhi asciutti
scorgere gli altri ammaccare nelle lagne le bugie dei loro
fallimenti a bocca nuda e sorriso sui baffi.

Per un anniversario di nozze

Il cielo è strappato attorno
a questo anniversario pezzente di due
che per tre anni in armonia scesero
lungo i cammini dei loro giuramenti.

Ora il loro amore crolla
e Cupido con i suoi pazienti urla a una catena;
da ogni nuvola vera o logora
la morte incombe sulla loro casa.

Troppo tardi nella pioggia sbagliata
si riuniscono quelli che l’amore divise:
le finestre si riversano nei loro cuori
e le porte scricchiolano nei loro cervelli.

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