a cura di Giovanna Frene
da Là fuori (Valigie Rosse, 2020)
Là fuori tutto funziona per conto suo
giorno e notte.
Corpi sopravvissuti alla loro ombra
segnano il limite di qualcosa che non so.
Un camion passa
sollevando un foglio di giornale sull’asfalto,
subito mi accorgo
che ogni forma di indugio è fuori posto.
Da una finestra un uomo mi osserva,
ha una maglietta a righe.
Sono io. Siamo noi.
Vita ai margini di un movimento generale.
*
Qui da qualche parte in una pianura,
dove tutto compare ad altezza d’occhi
senza orizzonte, si sente il bisogno d’un punto
sopraelevato per guardarsi attorno.
Guidàti da ciò che ci chiama,
se osserviamo in distanza,
c’è una grande apertura nello spazio, là fuori,
il vuoto che scruta tutte le cose.
*
Gli uccelli che scavano nell’aria la direzione giusta
e il movimento delle correnti nella profondità degli oceani.
Quest’appartenenza antropomorfa di tutte le cose,
dove ogni elemento è specchio di un altro.
Tutto è tempo che si scompone e scompare.
La mente nasconde a se stessa questa fuga,
ma nel rovescio dei passi è scritta
l’antica somiglianza tra attesa e cammino.
*
C’è uno sguardo delle cose
che fa del visibile una presenza,
questa luce abitata dal declino,
dalla lotta costante con la sparizione.
Fissa nella parola
non l’inerzia della superficie, ma il suo centro:
è nostro l’incerto e mutevole trascorrere
che definisce il paesaggio.
Nella trasparenza prende forma il tempo,
come in una fotografia, dove il silenzio si fa colore
mentre la pianura si dispiega
dialogando con il suo orizzonte.
*
Moriremo per non aver lasciato
alle cose, ai volti, ai paesaggi
la sottile incrinatura di un segreto che ancora possiedono.
Perché quello che ci è dato sapere
non è che una smagliatura sulla superficie
dei luoghi che abitiamo e viviamo.
Questo è il nostro punto di scomparsa,
la soglia oltre la quale tutto cessa di essere vero.