Alessandro Broggi | Noi

a cura di Giovanna Frene
da Noi (Tic, 2021)


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La strada è accidentata. Piove. Stiamo entrando nel paesaggio e cominciamo a distrarci camminando: a volte pensiamo a una persona in particolare, altre volte è solo l’idea di una persona. Seguiamo puntualmente il percorso: cosa c’è di fronte a noi? La linea azzurra di un corso d’acqua riflette le prospettive, il tempo si schiarisce. Non smettiamo di ridere, la cosa più importante per noi è che qualcosa succeda. Lo stridio della civetta si fa sentire più volte, vicinissimo. Attraversiamo la prima cortina di alberi, il panorama è solo moderatamente boscoso, diciamo qualche frase con calma. Adesso il tempo si muove più velocemente. Una sponda fluviale sabbiosa, la superficie levigata di un lago, la foresta al crepuscolo. In questa zona confluiscono diversi tipi di ambienti, ci sono innumerevoli direzioni.

Guardiamo il cielo – qual è l’intero campo delle possibilità? Lo chiediamo agli altri ma è più che altro una domanda rivolta a noi stessi. La storia lo dirà, sapremo ciò che faremo e avremo tutto il tempo per farlo. Scorgiamo qualcosa in lontananza e avanziamo da quella parte.

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In uno scenario che chiameremo il ‘paesaggio’ è notte. Non ci interessano i dettagli geografici né qualsiasi specifica localizzazione, progrediamo attraverso la vegetazione. La vista è scura ma il cielo risplende leggermente. Segnano il passaggio tra i termitai scolpiti cespugli alti appena pochi centimetri, non ci sono altre persone, si vede piuttosto bene ogni cosa. La nostra conversazione è ad ampio raggio, sono coinvolti numerosi temi. Ci muoviamo lentamente, poi giù verso la vallata. Alcuni scoiattoli lasciano il posto dove stavano mangiando; siamo ora dentro al bosco, “due donne e due uomini che si dirigono nella stessa direzione, camminano in habitat alquanto diversificati, si mette a piovere e ciascuno a turno si ferma un attimo a guardare. C’è qualche sincronizzazione nelle loro azioni, e un certo grado di comprensione condivisa, o almeno così sembrerebbe se li si scrutasse da lontano. Un’idea di miglioramento è relativa alle loro intenzioni, ma non è chiaro se queste siano buone o cattive, né in quali termini lo siano. Quattro persone che si incontrano una volta e che forse non si rivedranno mai più”.
Le informazioni necessarie per comprendere il significato dei nostri spostamenti non ci sono date, e non è nota la relazione tra le singole tappe del tragitto. Soltanto, ci si racconta che avremmo intrapreso un lungo viaggio, due uomini e due donne.

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Abbiamo provato a intercettare i momenti non decisivi, l’inazione, quello che sta per verificarsi o che è già inavvertitamente accaduto. A cimentarci, a esplicitare – ce lo chiediamo, adesso ce lo diciamo.
Il romanzo inizia con un salto temporale indeterminato: Eleonora, Maurizio, Norberto e Tania ci svegliamo, Norberto sta scostando le sovraccoperte e intanto ha potuto distinguere le circostanze in cui ci troviamo. All’improvviso i timori si sono dileguati; così, con una distensione graduale, il cielo dell’alba è apparso incoraggiante. In seguito a queste prime osservazioni si riscuotono Maurizio e Tania, poi ci avviamo.
Stiamo affrontando un cambio di pendenza, si sente il rumore di un torrente nascosto nell’avvallamento serrato dei pioppi, ci siamo allontanati. La giostra delle differenze ci forniva un orizzonte ritenuto definitivo, una sindrome condivisa che non conduceva a un’intensità di vita, e ai cui turbamenti seduttivi – non ci sembra difficile ammetterlo – non siamo più vincolati. Sogniamo, confusamente, di qualcos’altro.
La formula che esprime meglio questo sforzo è: ‘un’idea di futuro’. Abbiamo contemplato una coppia di cervi grigi dall’aspetto docile, elusivo, ecco che Norberto sta diradando erbe e festuche che crescono dal suolo, a un certo punto Eleonora ha parlato con Maurizio. Non abbiamo compiuto un passo importante, semplicemente stiamo provando. Evidentemente Tania e Norberto ci hanno convinti a prendere una risoluzione di carattere permanente; mentre stabiliamo di rendere le esperienze non memorabili, rimuginiamo.
Ci siamo accorti che stiamo correndo: si è visto che sarà una pratica costante, abbiamo preferito dare libero sfogo ai movimenti, e sarà imparagonabile. Errori inediti diventano ora accessibili, Norberto ha avuto ragione, Tania sostiene che ne stiamo avendo l’occasione. Da dove ci troviamo si discernono grossi ceppi di sughero e aperta campagna, torneremo affascinati?
Sarà difficile e molteplice, piena di contraddizioni, di ristagni impalpabili, di silenzi ostinati; sarà anche irriducibilmente controversa. Ci siamo indirizzati lungo le possibilità di scelta: la mutata contingenza sarà fiancheggiata da foreste di limoni ed eucalipti, ammantata di verde. Tanto più risaliremo una dorsale scoscesa – stiamo tentando –, è il tratto di allacciamento con un lago tutto animato da cigni dal collo nero, non abbiamo il tempo di constatare, scriveremo domani.

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Pare che abbiamo optato per partire. Benché sia brutto tempo. Si suppone che stiamo entrando nella boscaglia per un sentiero di aranci silvestri, si può osservare come i gesti stessi ci suggeriscano movimenti che diverranno azioni. Non sembra di poter escludere che il versante alberato che talvolta si intravede sarà presto invisibile, Norberto dirà: «Tra un paio di colline non lo vedremo che di scorcio».
Eleonora non si guarda mai attorno, osserva come se avesse davanti a sé una strada vuota, e avviene che una torbiera penetri a punta nel cuore dell’albereta d’alto fusto, e per contraccolpo a un fondo argilloso faccia seguito il prato. Abbiamo un’impressione: il basso soffitto di nuvole sta diventando meno denso; si è visto come gli aceri campestri si accompagnino ai carpini bianchi, tra poco nello strato erbaceo si susseguiranno le fioriture.
E sarà ragionevole tagliare per i campi a più riprese. Raccontiamocelo ancora: stiamo stendendo il verbale dei nostri passi, Maurizio fa banali commenti sulla vegetazione. Possiamo presumere che la macchia stia per cedere terreno, possiamo servirci di ogni parola per cambiare discorso, siamo capaci di tutto, coltiviamo una spensierata indifferenza. Mentre parliamo pensiamo ad altro.
Tania dirà: «Ci dirigiamo» – C’è qualche altro posto dove andare? Adesso, ormai da migliaia di anni

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sempre che ci stiamo dirigendo verso qualcosa ma ogni volta prima di raggiungerlo cambiamo direzione. Possiamo scegliere di concentrare la nostra attenzione su un dettaglio piuttosto che su un altro. La descrizione delle azioni diventa una descrizione di pensieri, la descrizione dei pensieri diventa una descrizione di azioni.
Il sentiero si divide incrociando altre vie della stessa importanza, le distanze non sono così manifeste, ed è raro incontrare specie davvero dominanti. Molte essenze sono distribuite a chiazze, altre in forma sparsa e poche uniformemente. Spesso per trovare una pianta di una stessa specie occorre spostarsi per parecchie centinaia di metri. Nuvole alte intercorrono, diorami momentanei si stagliano come universali pragmatici nel cielo vaporoso, abbiamo visto un procione.
Trascorriamo del tempo a guardare, per stabilire cosa ci sia qui fuori, in modo percepibile quanto non dichiarato, impegnati in un compito che non prevede urgenza. La natura delle nostre osservazioni ci sfugge, dentro condotte personali apparentemente idiosincratiche, appollaiati nelle nostre nicchie come allegorie.
Stabilità e locazione sono una questione di volontà e circostanza, tutto quanto le riguarda è desultorio. Questo ci conforterà: i traumi sono infrequenti e sempre reversibili. Sopravvivremo a tutto ciò che riusciremo a comprendere, lungo il medio corso dei nostri pensieri Norberto ci largisce ogni genere di consiglio, abbiamo motivo di credere che non ci possa succedere nulla, non ci sono angoli ciechi. Insomma.

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