proposta della redazione
Kallipolis
Sei tu che esci alla ribalta,
fuggiasca d’odio che ti ripara,
Su di te tessuti intrisi di paura,
priva di orme, ormeggi ora su una vela,
vento pesante fra gli steli,
rimembranze civili.
Semele
Quello che vidi ti colpì,
era irrompente clamore o dolce edera boschiva,
ebbra di silenzio tu danzavi sul monte Caucaso,
frusciavi così sulle acque specchiate e inebriavi le madri con canti soavi,
cerchi di alloro sulle vostre teste e corpi freddati su un terreno in tumulto.
Lanus
Ben oltre questa lamina traslucida tendo un braccio,
slancio su superfici cave e sopra cavi di fumo intrecciati in quel che furono nodi di stelo
con aromi soavi, come castagni derubati e gusci abbandonati.
Un sentiero battuto,
non il mio,
dei passi,
una mano,
e quel braccio lanciato nel cielo, toccarlo.
Lucciole che sbocciano dietro siepi in penombra,
così per me,
tintinnio altalenante l’esistenza,
doppio volto dei cipressi.
Plumbeo
Condizione fisiologico – emotiva carica di acqua piovana caduta su un terreno asettico.
Nube di ovatta su un cielo ciano pastello.
Sul bilico di una grafite troppo poco appuntita si spezza su un foglio disinibito la mia
inadeguatezza metallica, dalle linee anguste che ossidano come litio.
Forse un giorno capirò perché scrissi di corpi nulli che aleggiano come fantasmi in una
landa apparentemente popolata non curandomi di essere io un corpo come un altro,
come una nuvola plumbea che incrina l’armonia di un lago in cui si rispecchia il viso
dilaniato di quello che comunemente gli umani chiamano anima.
A.
Cercare come cerchi concentrici che pendono da lobi traslucidi,
Addentarsi in quella che fu almeno una volta un’autotelica esistenza scevra da strascichi
di coscienza pendenti da soffitti immensi,
Eloquenza di quella che fu una scommessa che volgeva gli occhi verso sé stessa in un
campo di scacchi,
Avere uno sguardo isolato,
Cercarlo in quelle biglie,
Appigliarsi all’ultima lettera.