cura e introduzione di Riccardo Canaletti
da Tenerissimo amore (Industria&Letteratura, 2022), anteprima editoriale
fotografia di Massimo Zanconi
La poesia di Davoli porta con sé la postura del poeta indipendente, davvero appartato, davvero nascosto dietro al testo. Un poeta che sa costruire attraverso la nitidezza delle sue convinzioni esistenziali e religiose un tema, lo sa indicare, riempire, ne dà espressione reale. In questo Davoli rispetta il precetto poietico della realizzazione. I testi nascono dal poeta e diventano reali, e come tali, pur geneticamente dipendenti dalla voce che li ha pensati, hanno una loro strada, una loro dimensione autonoma, tanto quanto è autonomo il poeta rispetto alla compagine letteraria attuale. Parallelamente (e forse contraddittoriamente), la poesia di Davoli sembra precedere il poeta stesso nell’atto del fare, come se nasca dalla vita e rintracci lì le proprie radici, indipendentemente dalla scrittura, tanto questa risulta spontanea, seppur con toni più alti rispetto alle opere precedenti. Così Davoli si fa tramite della Parola, quindi di un Messaggio, un contenuto che cede alla Grazia e all’umano perché è nell’umano che si codifica, ma è dalla Grazia che origina. Tenerissimo amore è un’opera di sintesi del percorso di Davoli come poeta e come uomo, e – forse in entrambi i casi – come credente. Egli crede con giovanile euforia e adulta saggezza, così come crede nella poesia, lasciando spazio al farsi dopo l’impegno della scrittura, lasciando che tutto fiorisca, che tutto si compia per com’è e come deve. Che prenda il volo, tenerissimo amore.
Giuseppe
Mi cattura il tuo essere, Giuseppe.
L’orma di terra, la consistenza d’uomo
nei cui occhi si riflette la luce
degli occhi del Bambino.
*
Ricordo che bambino ti guardavo
nella statua in cortile della scuola.
Un’aiuola educata la cingeva,
e una ringhiera bianca di granito.
Alto svettavi tu, ma sorridendo
verso noi, verso me. Ti riportavo,
dopo, nei miei segreti pomeriggi.
Tornasti tempo dopo, poco fa,
nella matura età che fa più semplici
i turbamenti, e aperti gli occhi all’Alto.
Tu sempre padre, io sempre bambino.
Eppure ormai fratello, nell’età.
*
Sei un silenzio di carne che opera
senza tacere. Che parla coi fatti.
Sei la conchiglia vuota che risuona,
la cavità dove il respiro si fa voce.
E in quella sicurezza precaria
che ti fa dolce e forte, tenerissimo
nelle mani di un Altro che le tue
mani abbracciano e adorano,
io sento precipitarmi e mi conosco,
forse la prima volta.
*
Mi colpisce il Tuo silenzio, Gesù.
In quel silenzio si rapprende il tempo,
tutto in Te si riassorbe.
Lontane, impercepibili le voci.
Il Tuo è nudo silenzio: non rivendica,
accoglie il chiodo che Ti slabbra i nervi
e gli scherni e il respiro che soccombe.
Aperto e fatto altro, divaricato
da un estremo a quell’altro della terra,
un verme che si ha orrore di guardare.
Al pozzo di Samaria
… e quella andò…
Sette mariti ma nessuno il vero.
Sentite cosa mi ha detto, quel tale al pozzo.
Che sia il Messia?
La prima annunciatrice fu una donna.
La prima a riconoscerti davvero.
La prostituta. Un’altra di quei poveri
che sempre Ti circondano e per sempre
Tu muovi a conversione, Tu sollevi
dal disprezzo degli altri.
Dammi da bere.
Io dissetare Te?
*
Non riesco a dimenticarlo.
Nemmeno l’ho mai incontrato di persona,
solo frasi virtuali (ma quanto cuore,
quanto respiro). Solo un appuntamento,
presto verrò e ci conosceremo.
Non riesco a dimenticarlo. Lo porto
dentro la mia povertà come perla
da difendere a oltranza. A volte credo
di vederlo sorridere tra le nubi,
allora ne stringo i libri tra le mani
e quante cose ancora gli vorrei dire.
Forse le dice lui a me, dalle foto
e che la sua traccia si allontana almeno
quanto insiste il suo fuoco dentro di noi.
(a Gabriele Galloni, 31 luglio 2021)
*
Ha bisogno evidente di parlare
di niente e di tutto, il filippino
che ironizza sul suo paese e sul mio nome.
Siamo fratelli un pochino, ridacchia
mentre mi guarda con un filo di complicità.
Ma gli sale un dolore nella gola,
è solo al mondo da questa parte di mare.
Ci beviamo un arancio, mentre vorrei
abbandonarlo per scrivere e non posso.
Quante pagine ho perduto per attenderli,
questi volti dispersi che mi assomigliano.
Sono il libro più carico della mia vita,
povero scriba che credevi chissà cosa.