inediti da Eredità ed Estinzione
fotografie di Dino Ignani e Giuseppe Dall’Arche
n.d.r. Per restituire, ai lettori, la versificazione originale, Canzone all’Italia VII. Scia di ristrutturazione straordinaria è stata inserita come immagine ad alta definizione
Canzone all’Italia X. Diplopia Monte Pertica[1]
questi cumuli di morti, tutt’ora morti, tutt’ora qui
trincee estinte sul nascere, spalmati nella perpetua ripetizione della fotografia,
questi ammassi ostacolano ogni nuovo possibile cammino, portano
apparentemente lontano ogni sguardo,
sprofondano a ogni passo verso la personale dissoluzione
del vedere, fino all’impossibilità di distinguere qualcosa nella palta puzzolente
del proprio andare, non si va oltre, sempre fermi, sempre qui
queste centinaia di cadaveri tutt’ora cadaveri, tutt’ora qui,
avvisano che la risalita è apparante, spalancano la bocca all’attenzione
della fine del tragitto, la camionabile è un lotto solo per i prigionieri,
lotta chi non è pentito della vita, chi può ancora apparentemente risalire
la china mettendo i piedi in sequenza senza la totalità della visione,
chi per bocca della fortuna ha tirato la linguetta della bomba
a mano nel giusto della forza nemica, sempre nemica, sempre qui
questa unica grande Immagine che ora è una, che ora è qui,
è la sola via che ogni percorrenza può portare, come uscita
dalla veduta che aveva reso niente la vita una volta e per tutte:
balzati in piedi, partiamo di corsa, ma dal cucuzzolo
delle mitragliatrici c’investono di raffiche
che fanno paurosi vuoti negli assalitori,
obbligandoci a ripararci nelle buche e negli anfratti del terreno (…).
Il sole è tiepido, e ne approfitto per una fumatina.
Il vento ci porta, ogni tanto, un lieve lezzo di cadavere; nessuno
si cura di portare via i morti (…). Sono morti come tanti altri,
di cui non so il nome, né ho mai visto il viso, che giacciono intorno a noi,
masse informi di carne, ma non provo né pena, né compassione,
la morte quassù non ha importanza (…).
Il Pertica è definitivamente nelle nostre mani.
Canzone all’Italia VIII. Feritoie[1]
Che cosa vedevano i vostri occhi, in fondo al bivio
fessurato? Che cosa si spostava sui prati oltre i fasci
dei reticolati? Che cosa avete pensato – tra le schegge
accese, tra tanto strazio di umana carne con questi
teribili armi, in terribili anni di non-sepolture e
morti per la grandezza della patria, in prati dove
altre granate o fuccillerie li finiscono li sepeliscono
anche vivi, da altezze di giorni infuriati sotto
oscure gallerie di neve, da sonni sprofondati al buio
umido del budello, che si dirama capovolto
sempre più verso il fondo – che cosa avete pensato
quando siete morti?
Note
[1] La poesia è stata letta in occasione del Secondo Festival della Poesia di Monza, on line, marzo 2021. Il Monte Pertica, cima posta a Nord-Ovest nel Massiccio del Monte Grappa, c’è oggi grande croce (una delle tante della zona poste a presidio della memoria di passate battaglie) sul cui basamento sono incisi gli avvenimenti accaduti più di un secolo fa, al termine della Prima guerra mondiale: “Su questo monte dal 24 al 29 ottobre 1918 caddero 37 ufficiali, 851 soldati, feriti 113 ufficiali e 2.400 soldati”: si tratta degli esiti dell’assalto finale compiuto dagli arditi, necessario per conquistare l’accesso alle vallate verso Trento e verso Feltre. Le parole finali, in corsivo, sono tratte dalle memorie dell’ardito Ermes Rosa, che partecipò a quella battaglia finale.
[2] Nel 2018 ho curato la pubblicazione di un libro sulla zona monumentale di Cima Grappa, dove appariva questa poesia; la zona monumentale, oltre agli Ossari (italiano e austroungarico) e alla Via Eroica, comprende la Galleria Vittorio Emanuele III, costruita a tempi di record a partire dal novembre 1917, su progetto del Colonnello Nicola Gavotti, ufficiale del Genio Militare. Si tratta di un’opera grandiosa, con il suo sviluppo di 5 chilometri interamente in galleria, sotto la Cima del Massiccio del Grappa. Dal corridoio principale, lungo circa 1,5 chilometri, alto 3 metri e largo da 1.80 a 2,50 metri, si dipartono poi numerosi corridoi laterali, che erano destinati a ospitare bocche di artiglieria, osservatori e postazioni per mitragliatrici. Attraverso diversi corridoi di sbocco, le truppe potevano raggiungere la prima linea in tutta sicurezza e con effetto sorpresa. A pieno regime vi potevano essere ospitati 15.000 uomini, dotati di tutti gli apparati tecnici e logistici, oltre a 72 cannoni e circa 70 mitragliatrici in grado di far fuoco su entrambi i versanti di Cima Grappa. In pratica, si trattava di una vera e propria città ipogea. Le citazioni in corsivo nel testo sono tratte dal Diario di guerra del fante semicolto Giuseppe Bof.
[3] La poesia, scritta nell’estate 2020, è del tutto inedita. Il termine “forza transumana” viene usato da James Hillman in Un terribile amore per la guerra; la guerra intesa come mestiere e i soldati intesi come “forza-lavoro” sono concetti espressi da Ernst Jünger in Fuoco e Sangue. La citazione finale è tratta dai taccuini di guerra del già citato fante Giuseppe Bof.