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Loriana D’Ari | silenzio, soglia d’acqua

cura e introduzione di Gabriele Marturano
da silenzio, soglia d’acqua (Arcipelago Itaca, 2021)


“silenzio, soglia d’acqua” è il titolo dell’esordio di Loriana d’Ari, la cui scelta tipografica di evitare la maiuscola è già indicazione di un percorso formale che trova conferma nel resto del libro, dove anche la punteggiatura si presenta spesso ridotta all’osso del punto fermo, il quale è usato come una pausa che non spezza il dettato, che procede sempre con la sordina della minuscola: «appena un dorato fruscìo. culla d’aria». E così per l’intera raccolta, dove però ogni testo termina senza il punto, generando un’unica ideale catena fonica. La sensazione che restituisce questa scelta formale è perciò quella di un incipit in medias res, di una istantanea proiezione nel reticolo musicale del discorso poetico. Tutto l’impianto sembra voler piegare gli strumenti a disposizione del ritmo di scrittura, ovvero l’armamentario tipografico, a una quanto più possibile adesione al parlato, o meglio, al cantato. Il quale è un’armonia che procede a scatti, per sbalzi e sbeccamenti («le impronte portate dal vento / salmastro di matrioske / tempeste […] »), con la percussione delle parole a fare da scalpello («canto il silenzio d’edera preghiera / spira dentata d’artiglio che affonda / sbalza la mappa, l’intaglio preciso / su questo corpo di scogliera franta») contro la realtà i cui frammenti sono poi giustapposti nel mosaico testuale, che si presenta come il precipitato di ciò che il soggetto filtra. Anche se dire “Soggetto”, nel caso di Loriana d’Ari, è troppo sbrigativo e ai limiti dell’improprio. Perché l’unità che struttura l’opera non è tanto un “Io” enunciato scopertamente, quanto la prospettiva sul mondo, che si muove su entrambi gli assi cartesiani dell’Io e dell’Altro, spandendosi in più direzioni, come mostra il breve catalogo esemplificativo della rifrazione continua dei protagonisti delle liriche: «il paesaggio è un falso», «ha danzato tutta la notte», «tutta la luce qui sale dal pozzo», «abbiamo perso un mondo quando abbiamo rinunciato». Il risultato è una testualità che tende volentieri a sfilacciare la coesione semantica, la cui stabilità viene delegata al ritmo percussivo del rimare (« […] sfiato feroce nella corsa e sangue di bestia.»). È un poetare destabilizzante, un continuo franare di immagini e suoni, che non rendono però mai vittima il lettore di una frustrante incomprensibilità, grazie al percorso che la precisione lessicale e il metronomo del ritmo riescono a creare. Altro elemento stilistico caratterizzante è l’urgenza del dire, testimoniata ad esempio dall’espunzione di articoli e preposizioni, col risultato di una frizione fra i sostantivi che vengono così adoperati come pietre focaie affinché generino nuovi verbi mai davvero pronunciati: «calco corpo guado / corpo prolasso di buio».

In generale, in questa silloge è la varietà a farla da padrona, come mostra l’ennesima scelta stilistica nei versi «[…] ocra metallica a sera» riferiti allo sfolgorare della «arzilla bicicletta» e poi, relativi alla descrizione di un interno, «la pietra d’inciampo nell’ocra / che addensa e più non slega», dove troviamo una costante cromatica, “l’ocra”, che nel suo tornare a breve distanza carica di sovrasenso la parola, lasciando il lettore col sospetto che il ripetere equivalga a creare un appiglio per l’indicibile. Quella di Loriana d’Ari è dunque una raccolta complessa e ambiziosa, perché affronta il labirinto della realtà creando un labirinto verbale in cui però il testo poetico è allo stesso tempo la trappola e la via d’uscita, il sentiero di «sillabe cave» che dà su uno strapiombo, in cui il lettore «cavalca nel vento la caduta».


ha danzato tutte la notte, le anche slogate.
la madre non recede: sgrana feti in
preghiera, li sfila
via dalla bocca uno a uno.
non finiscono, continuano a morire

*

lasciano orme gli scomparsi
gravide di buio. sono gli arsi
vivi, cantano l’eco di pupille
implose. sappiamo di loro
e il corpo rimargina. ma
se manca il corpo?

*

silenzio, soglia d’acqua
fiore che sanguina in bocca
aspra nei tagli la trama di
nude corolle, sillabe cave.
per ogni spina che raschia
la gola, qualcosa scollina
si stacca: fogliolina
che cavalca nel vento la caduta

*

abito l’orlo del salto
slogando a tenerlo
intero – corpo
calco corpo guado
corpo prolasso di buio

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