a cura di Gloria Riggio
da Poesie. 1974 – 1992 (Einaudi, 1992) e Vita meravigliosa (Einaudi, 2020)
fotografia di Dino Ignani
A me è maggio che mi rovina
e anche settembre, queste due sentinelle
dell’estate: promessa e nostalgia.
Patrizia Cavalli, Vita meravigliosa
Alla soglia dell’estate, nel giorno dell’anno più lungo e pieno di luce: Patrizia Cavalli se ne va nel solstizio, nella sentinella che ancora vive in forma di promessa eterna mantenuta dai versi, e a chi resta, una grata nostalgia e il calco d’aria che settembre custodisce in rima.
La poesia di Patrizia Cavalli è il lunario di una vita, una (e cioè d’un “Io singolare proprio mio”) e in ogni caso universale: essa si invera in un’aderenza che avanza con precisione intessendosi alla quotidianità, va dagli smottamenti interiori sino alla tavola, ai gatti, alle altitudini celesti. Conduce il procedere del suo orlo una penna trasparente che scrive pane per dire pane, amore per dire amore, dolore (o ancora amore) per dire dolore, entrambi per dire tenerezza.
Con la sua poesia, il suo lascito orizzontale, Patrizia Cavalli confuta i suoi stessi versi «Qualcuno mi ha detto/che certo le mie poesie/non cambieranno il mondo. //Io rispondo che certo sì/le mie poesie/non cambieranno il mondo», i quali quasi sembrano fare il paio con quella risposta che Elsa Morante (carissima alla nostra, e dedicataria proprio della raccolta “Le mie poesie non cambieranno il mondo”) nel ‘68 riservò alla domanda di un giovane provocatore “ma a che serve la poesia?” che recitava, grossomodo “E tu, a cosa servi?”. Ecco ben (di)spiegata la eterna questione circa la letteratura, la stessa sollevata da Cavalli e a cui Vivian Lamarque, in quel colloquio eterno filigrana delle pagine più acute, risponde dal suo ultimo libro «Invece sì, invece/forse sì,/forse le poesie lo cambieranno un poco/il mondo./Però tra tanto/tanto di quel tempo/sì me lo sento/che forse dalle poesie/forse verrà un poco forse/di cambiamento/ma come un nevicare lento lento lento».
Non è possibile dire la fenditura luminosissima rappresentata dalla poesia di Patrizia Cavalli, provare a consegnarne la sineddoche, con parole diverse dai versi della poeta. Eccone dunque una selezione, la traccia di una rara levità, attorno cui la redazione di Inverso si raccoglie ed esprime il cordoglio per la perdita – ma mai totale, se è vero che di morte non muore la memoria, ancora meno la poesia – di una delle più grandi voci della letteratura italiana.
«La bella vita bisogna coltivarla».
I prati quasi praterie e tu distesa
al sole fino al suo declino. La casa
abbandonata in mezzo al bosco, i cavalli
che mangiano liberi o sellati;
la lettura di un libro, i pantaloni strappati,
qualche segno che si aggiunge alle braccia al viso
e alle tue mani – le fiaccature scure degli ingressi –
per te le prove del tuo avanzare
contro le perdite contro i cedimenti, per me
i piccoli canali dell’ombra e della luce,
la geografia amorosa del riposo.
Circondata di grazie e bellezze naturali
persino i disastri del sangue sulla tua pelle
esplodono come cespuglietti di erbe stravaganti
che tolgono piattezza al prato. Così creando in te
il tuo capolavoro, chiedi visite per fare propaganda
al paradiso. Ma in tanto concentrato di splendore
quale estasi o scompiglio potrebbe mai portare
la mia mano? Sarebbe come un bacio
che cade in mezzo al sole.
*
Per simulare il bruciore del cuore, l’umiliazione
dei visceri, per fuggire maledetta
e maledicendo, per serbare castità
e per piangerla, per escludere la mia bocca
dal sapore pericoloso di altre bocche
e spingerla insaziata a saziarsi dei veleni del cibo
nell’apoteosi delle cene quando il ventre
già gonfio continua a gonfiarsi;
per toccare solitudini irraggiungibili e lì
ai piedi di un letto di una sedia
o di una scala recitare l’addio
per poterti escludere dalla mia fantasia
e ricoprirti di una nuvolaglia qualunque
perché la tua luce non stingesse il mio sentiero,
non scompigliasse il mio cerchio oltre il quale
ti rimando, tu stella involontaria,
passaggio inaspettato che mi ricordi la morte.
Per tutto questo io ti ho chiesto un bacio
e tu complice gentile e innocente, non me lo hai dato.
*
Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.
*
Se di me non avessi memoria,
degli altri e del mondo,
potrei vedere il mio viso scomparire
ingigantito o perso, la pelle
impallidire per poco sangue
o troppo ormai pesante;
guardare indifferente
la discesa dei muscoli, la carne
che si rovescia su se stessa,
lo sguardo che si scioglie disattento
ai passaggi, alle ore, ai continenti
e proseguire nel prossimo balletto
o salterello.
E non dovrei osservare a uno a uno
i segni del bicchiere sopra il tavolo
per ricercare nella densità dei cerchi
il peso involontario di una mano.
*
La perfezione del primo vero male
non conosce permessi né riposi.
Vigliacca e maledetta si presenta
se leggo un libro se guardo alla finestra,
se incontro amici se rispondo al telefono
e soprattutto si approfitta
del silenzio dei giorni di festa.
*
Oggi, per via di quest’aria marina
musichetta che m’abbraccia stretta
se tengo aperte tutte le finestre
portandomi le cose che non sono,
quasi m’affogo nei gorghi del perdono.
Io per guarirmi dei miei noiosi amori
ascolto i noiosissimi racconti
di altri amori. Pur nella noia
il dolore è vero, ma per un po’ lo vedo
in queste storie simili irreale
e mi sottraggo al mio perché è uguale.
Pensando a questo mi pento e mi vergogno
di aver sforzato con parole e pianti
i cuori calmi di chi mi stava intorno.
Ora capisco che è una presunzione
con abitanti di climi temperati
parlare di ghiacciai e di amazzonie.
*
Due ore fa mi sono innamorata.
Tremo d’amore e seguito a tremare,
ma non so bene a chi mi devo dichiarare.
*
Come alle tante mie calzette
non tiene più l’elastico al mio cuore
cede e mi scopre, ho freddo.
*
Duro intelligere e morbido sentire,
il peggio che ci possa capitare.
*
Sentirsi dire che la vita è crudele
è proprio una cosa da marciapiede.