Città del testo #3 | Davide Rondoni

cura e introduzione di Riccardo Canaletti


Tanti anni fa ho scoperto la poesia di Davide Rondoni. Nel frattempo ci siamo presi a parole, per poi riappacificarci davanti a una birra. È stato uno dei primi poeti contemporanei che ho letto, lo ricordo sotto gli affreschi di scuola giottesca, a Tolentino, che leggeva con quel timbro cupo e cavernoso sotto luci non troppo forti, regalandomi una delle mie prime esperienze di poesia contemporanea. Gli faccio delle domande per saperne di più, per comprendere cosa ci sia dietro la sua poesia e dietro al suo sguardo. Ricomincio con questo dialogo la mia rubrica Città del testo.


Domanda di rito. I tuoi poeti di riferimento, tra gli ormai classici e i viventi.

Un rito crudele e forse anche assurdo, ma ok, proviamo, tra dimenticanze e sbandanze… Anacreonte, Omero, Catullo, Jacopone, Dante, Leopardi, D’Annunzio, Negri. Baudelaire, Rimbaud, Eliot, Rilke, Ungaretti, Achmatova, Mandel’stam, Cvetaeva, De Andrade, Herbert. Miloszc, Twardovskj, Rebora, Luzi, Caproni, Pasolini, Loi, Murray, Walcott, Heaney, Strand, Lemaire, Sicari, Conte, Mussapi, Cricelli, Grech, Mikolajevskj, Santagostini, Di Consoli, Villalta, Riccardi, Fraccacreta, Vallerugo, Rossella, Lauretano, Grande, Panico, Fossati, Colella, Alfieri (ma un mio amico un po’ bizzarro, non Vittorio…) e ovviamente lui, mio nonno Enea, che non ha mai pubblicato un rigo, aveva forse la seconda elementare, ma aveva una lingua più viva e un senso delle pause di gran lunga migliore di tanti presunti poeti che ci affliggono … Potrei continuare ma essendo una domanda di rito chiudiamola ritualmente qui.

La tua poesia veicola un messaggio che potrebbe apparire scomposto, frammentario, non univoco (e per questo a volte contraddittorio). Un amore che infiamma, un dio a cui dai del tu, strade, cani, autogrill, accanto a santi, affreschi, e opere conservate nelle chiese. Tutto il mondo è materiale per fare poesia, o c’è qualcosa che lasceresti da parte?

Mi pare che il mondo, come dici, appare “scomposto, frammentario, non univoco (e per questo a volte contraddittorio). “Cantami qualcosa pari alla vita”, diceva Mario Luzi.  È il mondo la vita e la poesia che non lascia “da parte” nulla di me… E si chiamano a diventare voce.

La prima volta che ho letto qualcosa di tuo eri nella mia città, Tolentino, e facevi delle lettura nel Cappellone giottesco della Basilica di San Nicola. Vorticosa dipinta, questo il titolo. Inutile dire che tu sia stato una delle letture più importanti per la mia formazione poetica. Torna il ‘tu’, torna un rapporto corpo a corpo con la poesia e con qualcosa di più, sia esso un ‘di più’ terreste o meno. Quanto coraggio ci vuole per sfidare faccia a faccia il mondo e sfidarsi, nei «giorni che vanno con il respiro»?

Il tu – al di là delle celebri valutazioni montaliane sull’argomento – è il punto di fuga ultimo, il “tirante” della voce che parla del mondo, voce del mondo che parla nel poeta e sorge non per rispecchiarsi in un mutismo narciso, ma in un’offerta o domanda o sperduta ricerca di un volto, di un tu. Che sia quello del lettore, necessario all’esistere della poesia quanto l’autore, o di una montagna o di un Dio, è un tu cercato da quella tensione medesima che genera la poesia. Ogni poesia nasce da un tu (una foglia, un viso, un evento, qualcosa che io non è e pur mi dà fiato e respiro e dunque ispirazione) e cerca un tu che accolga, ascolti, tremi e danzi.

Una delle tue intuizioni più forti, a mio parere, è quella che regge La natura del bastardo. «bastami  / non bastarmi amore / imbastardisci me / di te». Parli direttamente all’amore, un amore che ti sazia di una novità d’essere. Dove e come è nata questa intuizione, e come si è sviluppata nel tuo libro?

Dovrei leggerti il libro, con le poesie una a una! Ma quei versi sono nati da un momento di profonda e tentata autocoscienza … I grandi poeti della nostra lingua, da Jacopo da Lentini a  Francesco, da Jacopone a Dante a Petrarca e venendo su, parlan d’amore. Di cosa appunto muove davvero l’esistenza, oltre al sole e alle stelle come aveva capito Dante ben prima dei fisici del Big bang e della dark energy.

Altra domanda di rito. Cosa pensi della poesia italiana di oggi? Soprattutto le nuove generazioni.

È una figata. Ci sono tante voci interessanti, bellissime, commoventi, acute. Alcune come posso cerco di valorizzarle, altre mi sorprendono ovunque come agguati lungo la penisola che viaggio e in cataloghi di case editrici piccole coraggiose sfrontate.

«La speranza – so poco di lei». Sono versi di Mario Luzi, uno dei tuoi maestri. Tu quanto ne sai della speranza?

Ne so meno di Mario, ed è tantissimo. In quel suo poco c’era tutta l’energia vitale e intellettuale di un poeta che interrogando il vivente e il suo mistero ha offerto una delle vie alternative,  in modo esteticamente e intellettualmente e esistenzialmente persuasivo e affascinante, al nihilismo tragico o gaio che impera nel nostro tempo.

L’amore per dio è conflittuale, incondizionato e di devozione, incostante. C’è un modo solo di amare dio? C’è un modo solo in cui dio ti ama?

Dio è senso ultimo e la fonte ultima dell’esistenza. I modi per rapportarsi a Dio sono infiniti quanto gli uomini e gli esseri viventi. Ha una gran fantasia, quel tizio. E noi cerchiamo di averne altrettanta, perché non possiamo fare a meno l’uno dell’altro, come due Amanti.

Poesia e sperimentazione. La poesia sperimentale, le avanguardie, a volte il congedo dal significato per buttarsi nelle braccia della sola forma. Forse l’idea che la lirica non abbia da dirci più nulla, dagli anni Sessanta a oggi. Cosa pensi di questo modo di fare poesia?

Ogni poeta autentico è “sperimentale”. Chi pensa che la sperimentazione sia un problema formale non ha idea di cosa sia la poesia. La lirica è uno dei modi – spesso nei grandi mescolati a altri modi – della poesia di sempre.

Tre parole e due righe di spiegazione per ciascuna. Una parola che associ alla poesia, una che associ alla vita, una che associ all’amore.

Una parola sola per tutte e tre: meraviglia. E una riga: La meraviglia come tremore e timore e rispetto.

Qual è il tema più abusato oggi secondo te? Magari importante, ma su cui si dovrebbe prima riflettere di più?

La natura. Infatti, ho fatto un libro per discuterne. Che cos’è la natura? chiedetelo ai poeti con Fazi. È il mio piccolo, spero originale contributo. Non credo che basti bere tisane o scrivere poesie facili sugli alberi per essere più “naturali”.

Vorrei chiederti di regalarci due testi, uno tuo e uno di un poeta che ami o hai amato.

Un mio inedito:

Non vedi il dolore, tanto
come l’aria?

cos’altro respirano gli umani lungamente
mentre il sole ogni giorno fallisce l’inseguimento
del fiume, tenendosi o lasciandosi la mano
gli amanti e i figli, e i figli dei figli…

cammino sotto gli archi vuoti di Bologna
il tempo è il principe dagli occhi incomprensibili

e nessuno lo può fermare, nemmeno
la fiammata che gli traversa lo sguardo
un verso memorabile o la data
di un bacio, una vittoria

Ma gli amanti, lo sai, possono contare
il tempo prima e dopo l’amore
non lasciare né l’inizio né la fine alla notte
dire: prima era prima di lei, prima
di lui, e dopo cos’altro?

Nessuno ferma il principe che ha zoccoli sfavillanti
lungo i portici delle città che crollano

ma vedi è strappato il suo petto di fuoco,
esce tempo dal tempo, ogni settimana corro al treno, misura
nasce da dismisura, tutto differente

pensando a te, a prima e a dopo ma
sempre di te

così riconosce il mio cuore antico e bambino

il senso della principesca cavalcata

non vinta ma moltiplicata, impazzita
in miliardi di inizi, fine ancora inizi

mia misera orchestra di resurrezioni

che va sul pallido semilucente fiume
e in questi portici sospesi nella tenebra…

Una poesia di Pasolini, visto che è il centenario della sua nascita:

Un aeroplano dove si beve Champagne, Caravelle
che il capitano annuncia volare
a una media “effettiva” di ottocento km all’ora.
Praticamente sto fermo, bevendo champagne
(versato con più abbondanza nel mio bicchiere
per prestigio letterario). e so che non ho
“effettivamente” alcun libro in cuore, alcuna opera.
Sono impari a ciò che “praticamente” sono,
se io ero fatto per restare ai piedi del mondo

non qui, suo padrone, in un Caravelle,
che mescola Corfù alla Terra dei Mazzoli
(laggiù macchiettata di nubi),
a Roma, col Tevere come uno dei mille Giordani.
Devo tornare povero ? Ignoto ? Ragazzo?
Non so, “effettivamente”, essere padre, padrone.
E’ ridicola la mia influenza, la mia fama.
Padre, cosa mi sta succedendo?

Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo, è volgare
mai fui così volgare come in quest’ansia,
questo “non avere Cristo” – una faccia
che sia strumento di un lavoro non tutto
perduto nel puro intuire in solitudine,
amore con se stessi senza altro interesse
che l’amore, lo stile, quello che confonde
il sole, il sole vero, il sole ferocemente antico,
-sui dorsi d’elefante dei castelli barbarici,
sulle casupole del Meridione- col sole
della pellicola, pastoso sgranato grigio,
biancore da macero, e controtipato, controtipato,
con altrettanta fisicità che nell’ora
in cui è alto, e va nel cielo, verso
interminabili tramonti di paesi miseri…

(da Poesia in forma di rosa, Grazanti 1976)

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