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Iolanda La Carrubba | Poesie

cura e introduzione di Ilaria Palomba


La poesia di Iolanda La Carrubba è un canto, ricorda certi stornelli del sud che nietzscheianamente giocano con qualcosa di scaro. Vi è egemonia del significante sul significato, ritmo sincopato, dove la parola – una parola – acquista differenti significati. L’ironia del gioco di parole può far pensare a un Trilussa cyberpunk. Iolanda La Carrubba è una delle poetesse più originali nel panorama nazionale, il suo non prendersi troppo sul serio è in realtà indice di grande serietà, la capacità nell’uso del significante a dispetto di ogni pretesa egemonica del significato ci avvicina a un mondo accessibile solo mediante l’immaginazione, con una lingua che ricorda quella di Lewis Carroll.


Zero assoluto

La realtà è un’ottusa apparenza
confusa esistenza vestita di nuovo
rinchiusi tra quattro pareti stagne
i sogni riaffiorano da lunghe apnee,
mentre nell’angolo ancora sfocato
lo zero assoluto rimane com’è.
Impatto visivo riapre quel varco
lanciando lontano il punto focale
spazio ridotto al fatto essenziale
distinto rumore riecheggia laggiù.

Ode al ritorno degli anni ‘70

Tornano gli anni 70
anche se dispari
con pari opportunità
a quattro a quattro
quatti-quatti tornano
con le borse di pelle
le zampe d’elefante
amanti sotto-sopra
e sopra le cose occultate
altre case occupate.
Tornano,
senza somigliarsi troppo
su imitazione vint-age
mentre alcuni anni
sono tondi
come gli anni 80
altri anni sono arcigni
come gli anni 15
altri sono confusi
ma gli anni 70
non passano mai
e tornano senza pretese
su commissione
come fossero stoffa al metraggio
e il miraggio del loro ritorno ideale
diventa l’ideale a tasso zero
senza bisogno di rateizzare
il contributo del loro significato.
Tornano gli anni 70
stimatori di altri anni
che sono diventati
storia dentro ai musei
insieme ad altri anni ancora
confusi e impolverati
dalla loro stessa vanità
ma gli anni 70 tornano
senza pensarci troppo
con i bambini nel parco
il vinile che gira
il gelato a colori
le spiagge gialle e blu.
Tornano gli anni 70
tornano gli anni ribelli
double face compact
gli anni delle radio libere
dei tre papi
delle bombe in piazza
dei terremotati
gli anni senza scuse né pretese
di tutta la verità
dei cartoni animati giapponesi
dell’Italia fuori dalla Libia.
Gli anni di
quel che è fatto è fatto
del soqquadro
scritto con la doppia c
delle brigate
del divorzio
del poeta andato a morire al mare.
Gli anni dove si
io c’ero ma
verso l’inizio di altri anni
più pink e meno punk.
Tornano gli anni 70
tornano gli anni dello shock
delle rock star partite su Marte
delle abrogazioni
dello stop!

Fatti su misura

Fatti,
infilati negli anfratti insoddisfatti
finiti sotto ad altri fatti, fatti di tutto.
Fatti un po’ più in là
dopo la riga gialla,
fatti e rifatti ‘na bella dormita!
Fatti distorti, corrotti, distratti,
o corretti al gin.
Fatti,
indigesti fatti di gesti intatti
o fatti a metà,
sospettati di essere sfatti
e finiti in fretta, questi fatti
fitti-fitti, vanno via
sotto i tetti e se sono
troppo fatti, anche sopra
o all’incontrario del disco orario.
Soddisfatti o rimborsati
pieni di difetti
fatti a regola d’arte.
Fatti e misfatti
saltati in padella o fritti.
Fatti di tutti
troppo fatti
quasi fattoni,
che non sanno fare altro
se non farsi i fatti tuoi!

Soltanto

Né voce né suono
soltanto vento salmastro
a sbattere sul cemento
sgretolato – fatto polvere.
Soltanto l’ombra di abiti vuoti
del tempo trascorso a fare faccende.
Né canto né pianto,
resta soltanto silenzio
però bello quel singolo fiore
cresciuto spontaneo
tra statue di carne.

Al contrario

Ieri sera c’era ancora
come il lunedì e
il giorno prima
poteva essere sparito
qualche minuto o secondo
ritrovato poi per sbaglio
in uno sbadiglio dagli occhi
troppo aperti per essere sonno

Senza apparente conseguenza
perduto era quel giorno smemorato
altri frammenti di giorni a pezzi
spazzavano via discorsi razionali
scendeva poi lento il sopravvento
di dire tutto – al contrario di tutto.

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