Spostamenti #22 | Francesco Terzago

a cura di Giovanna Frene
da Ciberneti (Samuele editore 2022, Pordenonelegge Collana Gialla)


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Oltre cento metri di Buddha

Il mese scorso siamo stati in un altro paese
e il prossimo ci torneremo per installare
un ulteriore impianto; poi diventeranno
tre, quattro, solo nell’arco di un trimestre.
Se questo è l’indirizzo del mercato ogni giacimento
disporrà delle nostre attrezzature,
granito o legno fossile non fa alcuna differenza.
Al centro di un fegato di chiome nere
c’è l’altopiano, nel mezzo una radura
con erba dolce e acqua che si muove
gialla come burro. Lo scenario è suddiviso
da segni di nuda terra, strisce rosse
come carta abrasiva che si intrecciano
quando le si vede dall’alto: sono le cave.
Avrebbero voluto scendere sempre più giù,
nella roccia, i nostri clienti, rimuovere
metri cubi e metri cubi di materiale,
interrompere la continuità con la dinamite,
estendere il varco con il filo diamantato.
Sapevamo questo. Ed è questo che abbiamo
creduto che stessero facendo quando non abbiamo
più ricevuto le loro telefonate. Non una richiesta
di intervento, nemmeno più i video o le fotografie
dei matrimoni dei dipendenti; l’altare di plastica
giallo e lucido eretto nel capannone con le offerte
di riso e i pomelo, il dio guerriero ha le sembianze
di un personaggio dei videogiochi; le immagini
dei figli, bambini grandi come una mano aperta
davanti a una finestra coperta dalle rane di cera;
della mensa, delle partite a badminton, degli utensili
da taglio arrivati lì, con il corriere, da un continente
diverso. Forse ci ricontatteranno quando lo scavo
avrà raggiunto la giusta quota e se, nel frattempo,
non si saranno persi nel buio. A quel punto
spetterà a noi raggiungere il fondo del catino
scendendo con i verricelli, laggiù il cielo
è un asterisco e le pareti sono lucide
come vetro meteoritico o la gola di un vitello.
da quel punto inizierà la nostra, di ascesa,
piano dopo piano per i trenta complessivi
della struttura d’acciaio zincato che sarà nostro
compito installare. Su ogni piano disporremo
le cremagliere – l’una sull’altra con quattro metri
a separarle. infine i robot faranno avanti
e indietro su di esse. Mentre gli uccelli
insediati e le volpi volanti, a poca distanza,
copriranno con i loro versi il fischio delle fresatrici
assicurate al polso degli stessi robot. Così si scolpirà
il Buddha con gli occhi chiusi e la pietra
polverizzata precipiterà giù, nel ruscellamento
inesauribile della pioggia e della falda mischiandosi
al guano, ai minerali, e ai residui della papaia,
dei frutti stella, e dei dispersi. Oltre cento metri di Buddha
con gli occhi chiusi. Quando e se sarà ultimato, il colosso,
potrà essere visibile solo a poche decine di persone
all’anno, chi giungerà in quel punto
su espresso invito di un ministro. Attorno
alla voragine erigeranno una palizzata
mentre, le fessure tra i tronchi, saranno chiuse
con fango rosso e foglie di banano ancora verdi.

Le more sono lampadine bruciate

Le spine escono dalle maglie della recinzione.
I fiori stanno dall’altra parte e indicano, nell’insegna di foglie,
non il giardino ma la casa, una bifamiliare squadrata
come una radiolina. Le more sono lampadine bruciate.
Così, in ognuna di loro, sono conservate
decine di migliaia di informazioni; la registrazione
dei mesi che sono appena trascorsi e, guardando bene,
il riflesso di alcuni istanti futuri [la materia del passato
costituisce il futuro o lo sta colonizzando?].
Una pellicola di ghiaccio evita la corrosione
delle more. Sulla loro superficie cade l’albore delle elettricità
discontinue, tanto fanno le immagini di fuochi
freddi, di ricordi, e di storie che restano senza parole.

Biosfere

Quando non riesci a prendere sonno
guardi dei video sulle biosfere
dove ecologhi dilettanti assemblano
contenitori ermetici grandi quanto
una zucca. Dentro vi sigillano
alcuni litri d’acqua e piante e animali
grossi come granelli di sabbia presi
da un fiume, da una pozzanghera,
dal mare che, da quel momento,
proseguono la loro esistenza ignari
di ciò che gli è accaduto. Le forme
di vita più complesse si estinguono
mentre altre prosperano nel riuso,
farebbero lo stesso degli automi
opportunamente programmati.
La visione di quegli involucri e poi
della luce stellare che li alimenta,
rallenta il ritmo cardiaco e non è più
necessario massaggiarsi tempie e polsi.
Un odore di liquirizia bruciata
sale dal computer che ci dà le immagini
di questi dardi che attraversano il tempo.


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.

La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.

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