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Simone Ruggieri | Gli occhi di mattina

di Lorenzo Fava
per Gli occhi di mattina (Arcipelago Itaca, 2022)


Ho ascoltato almeno in un paio di occasioni Simone Ruggieri presentare “gli occhi di mattina”, edito da Arcipelago Itaca quest’anno. Ma entro nel discorso come sono solito fare mettendo al centro solamente il testo: con pochi dubbi appare come un canzoniere d’amore che affonda le radici nello studio della poesia dalle origini ai giorni nostri. A questo rapporto fra argomento e lingua (è il tema a dettare lo stile?) una profondissima analisi, che qui non mi assumo la responsabilità di fare, andrebbe dedicata all’evoluzione della lingua dei poeti d’amore, a come i riferimenti e i canoni si siano modificati procedendo verso i giorni nostri, nella storia della poesia. Ciò che qui tengo a dire rispetto a Gli occhi di mattina, che raccoglie poesie che vanno dal 2012 al 2020, è che in ogni sua pagina il libro dice al meglio l’approccio alla scrittura come ordine per se stessi, come strumento per l’elaborazione degli eventi, non cedendo tentazione dell’elegia e al contempo portando avanti una ricerca che filtra il tema dell’amore, a tutto tondo, verso un’enunciazione piana, che se sussulta sussulta nelle chiuse non dispregiando l’ironia. Io credo tra queste pagine ci sia un percorso di crescita umana e scrittoria cristallino: un altro dei rischi del tema amoroso è quello di cadere in una indistinta ripetizione dei canoni della nostra letteratura senza che l’opera apporti una cifra definita e originale, strettamente inedita. Simone, che è attento studioso di Petrarca e Foscolo ma non può né vuole sottrarsi al suo tempo e alla sua lingua, pur forte di strumenti filologici non va a stringere il cappio alla forma. Figure, stanze e paesaggi si intrecciano in un chiarore penniano: “C’è già meno incertezza nella stanza, è il venticinque aprile e una persona con tutto il suo segreto già risuona in questi quattro versi di mancanza.” Sentimento di ogni tempo, le figure amate sono l’occasione di incontrare la poesia come metro di assimilazione delle fasi della vita – molte poesie, nel volume, sono datate – su cui Simone Ruggieri fa chiarezza, forte di un background di letture, dal classico al contemporaneo, che non fa che educare la scrittura ad essere quello strumento che permette di conoscere se stessi e, attraverso questa lente, di leggere le persone a noi prossime. La limpidità nella costruzione della frase entra alla perfezione nella griglia metrica dell’endecasillabo, misura regina, se mai ce ne fosse una, della tradizione italiana a cui l’autore è saldamente legato ma di cui non è mai succube: ne subisce il fascino, entra nelle sue dinamiche, ma – e qui sta a mio avviso una delle più grandi note di valore del testo – non vi si piega, non cade nel tranello della nebulosità, dell’ombra sui significati, non cripta il soggetto ed anzi lo espone, specie nelle ultime sezioni, ad un grado di emotività che mi spinge a parlare della poesia di Simone come ad una vera e propria opera dell’arte e dell’artista e non solo come un bel libro di poesia. Il testo pur affrontando il tema più arduo della storia umana non perde di originalità perché, al netto della riuscita estetica di ogni singolo frammento e delle corde del cuore che questi, nello svolgersi delle sezioni, pizzicano, riesce ad essere pienamente sincero e a far emergere non solo la coscienza letteraria dell’autore, ma a mostrarlo come umano.

“La metafora è la vista che fa ordine
nel giallo irrimediabile
e perduto di domeniche […]”.

Vedere con “gli occhi di mattina” è opera di un artista non tanto -non solo- perché frutto di una gestazione decennale, ma anche per la coscienza umana e scritturale che viene a formarsi nella composizione dei testi. L’artista, io credo, è colui che cosciente di un mezzo espressivo, delle sue regole imprendibili eppure così chiare nell’idea, sa farle riflettere sul suo modus operandi in maniera naturale e mai forzata. Sono versi questi che, mi piace dire, “si mescolano al silenzio”, o meglio ad un respiro calmo che sa inarcarsi ma mantiene praticamente per tutto il libro l’estrema delicatezza che lo compone e che sento descriva pienamente anche il Simone uomo, che ho la fortuna di conoscere.

“Di luglio in luglio, di piano in piano,
dai versi alle novelle, sto perpendicolare
alla mansarda da dove ti scrivevo,
da dove ti cercavo tra il cielo delle Marche
e l’oro zenitale del pensiero.
Ogni stanza nasconde il suo mistero”.

La dimensione del paesaggio posta accanto al momento del ricordo è un tratto tipicamente marchigiano? Se pensare a Leopardi non è mai scontato ma fin troppo facile, certo è che Simone -ed è un’altra delle note di credito che credo questo libro meriti- è un poeta difficilmente collocabile. Un dettato piano ma mai piatto – ed in questo mi ricorda il filippo davoli a noi più vicino-, una tenerezza fusa ad una coscienza della forma che rende lo scritto vero nei contenuti, extra autobiografico nella misura in cui fa del racconto delle vicende sue e di altri storie nostre e di tutti. Chapeau.

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