a cura di Giovanna Frene
da Strategie di un mondo perduto (Stampa 2009, 2022)
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
Il tempo dell’ovatta
Preso sottobraccio era tornato
un angolo di cielo, strappato
nel bianco della foto un tassello
azzurro fuori posto, e non voleva
ma guardava lontano, oltre la griglia
rarefatta del tempo: ombre di terra
piegata tante volte sotto il peso
delle stesse ambizioni, una fanghiglia
senza memoria, ma viva
involontariamente, suo malgrado.
E qualcosa muoveva ancora,
nonostante tutto, nonostante
il comune destino, un giro
più sopra o più sotto, cocci
di bottiglia aguzzi, meraviglia
semolata e dolciastra, una poltiglia
che fa pena a guardarla.
Ma il meglio
è sempre un ricordo, e l’attesa
di ricucire lo strappo, sottrarre
al bianco l’occhio azzurro, e ritornare
al tempo dell’ovatta, non guardare.
Sedici acri
«Here you have perhaps the most valuable sixteen acres at the face of the earth and suddenly is gone, and these 16 acres at the center of the cosmos are empty and fair game».
16 Acres (2012), film di Richard Hankin
I
16 acri, diciassette
giornate piemontesi: ci viveva
un piccolo esercito, figli
tutti di ortaggi e granoturco
bagnati nottetempo, quando dorme
tutto o quasi e non si vede
nessuno in faccia, con le zampe
piantate nell’acqua a voltar fossi
e lo sguardo alla luna moribonda
tra nuvole sterili, lontane.
Si cantava a sufficienza, si pregava
il dio nostro, si beveva
e fornicava in obbedienza, coi figlioli
sparsi per la stalla e destinati
a fine prematura, i più beati
parvulotti ancora imberbi (Dio dà
e poi se lo riprende, misterorum).
II
16 acri e un condominio
alto fino al cielo per contare,
adulti consenzienti, con le dita
febbricitanti, insetti
di un alveare doppio, gemellare,
che sciama tutti i giorni e torna
pieno ogni mattino, caldo
pulsante di elettroni osmotici
che passano messaggi, amori
e ricette di vita, concitati
passaggi di gambe, occhiate,
baci furtivi, tra le righe
di una giornata opprimente. Tonnellate
di carne in movimento e acciaio
nascosta dentro i muri alti
quattrocento piedi sopra il cielo.
III
16 acri e capannoni
dall’aspetto innocuo, bassi
sotto l’orizzonte, molli
di un caldo animale, serre
di voci monotòne ammassate
un centimetro sull’altro. Si produce
carburante umano a basso costo,
carne su carne, inscatolata
prima del macello, sciolta
da vincoli terreni. Il sangue
colora l’acciaio a spruzzi
intermittenti e si sollevano
soffi tiepidi, vapori
di anime leggere, svaporate.
*
Un colpo di vento e un quadrifoglio
stretto tra i fogli: siamo morte
dipinta, imbalsamata cento giorni
su cento, ma la notte
arriva con il buio e nulla
permane, neanche i nomi,
e una foglia secca è più secca
e perde i pezzi e la fortuna
si sbriciola insieme, dimezzata
e zoppa, coi pensieri strani
di un corpo serale: i sensi
spenti dalla chimica o impazziti,
sinapsi intermittenti, spente
e accese fuori tempo, in tempo
per confondersi tutte, e tutto
precipita sul fondo in elementi
scomposti e ricomposti, decomposti
da un milione di anni, uguali
e identici da sempre, e non lo sanno
e pensano pensieri vecchi
come la polvere e non sanno
di non sapere, appesi
a un quadrifoglio stretto dentro un libro
come se fosse amore, in braccio
a un vento che non sente, legge
il tempo e nient’altro e le parole
dipingono la morte e non per sempre.
*
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
Sen. Ep. 107.11
Il cielo è terso e una garza
lo attraversa sottile, tesa
tra un inizio e una fine, naturale
sipario per la vita, tutta
distesa ad asciugare, ad osservare
il mondo da lontano, idee
azzurre e inarrivabili, chimere
tutte nella testa e, più ci pensi,
più tendi la mano, più ti invischi
nelle maglie sottili appiccicose
di un’esistenza piatta, tesa
verso gli estremi.
Meglio
sarebbe non pensare, seguire, assecondare
la linea della trama: chi non vuole
lo trascina il fato, strattonando.
Firmamento
Grumi sull’asfalto o sedimenti
oltre il microscopio, a complemento
di un corredo genetico, batteri
sgargianti sullo sfondo, forti
del contrasto rosso congo o blu
di metilene: sembrano
tacche sullo sfondo innocue,
grumi sull’asfalto e il fondo
un fondo di setaccio. Se si alza
strappa via gli appigli e il mondo
per quello che è vien via, grumoso
in ogni scala: nebulose
e nanoparticelle.
In mezzo
tante sfumature, macchie
sul foglio bianco o azzurro o rosa,
uomini compresi, micro-
corpuscoli di stelle, particelle.
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.
La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.