a cura di Giovanna Frene
da Del tutto diversi (Interno Poesia, 2022)
Il platano di via Valerio
Se credi di entrare contro il flusso delle foglie sulla soglia del giardino, quando febbraio finge di rinverdirsi e coltiva nuovo gelo, perché casualmente passasti e non avevi altra strada, per favore non bussare, non essere tu. Se ritieni di non avere presenza di spirito e vuoi colmare i vuoti con il becco scaltro del martin pescatore che acciuffa di netto la preda perché vuole esibire il bel piumaggio, per favore non afferrarmi, non essere tu. Di questa esistenza non vediamo che lo specchio deformato, una tela ricamata e non ultimata agli orli, non riusciamo a scorgere il male che ci sorprende come il vento sui vicoli ciechi del non essere noi. E se invece, nel guardarmi passare, ti ha preso quel senso di distacco da cui è colta la persona che ha camminato per anni separata da sé e adesso si ritrova, allora te ne prego férmati, cerca di essere tu.
Debolmente discernibili
In meccanica quantistica quando due particelle viaggiano appaiate sino a confondersi sono dette ‘debolmente discernibili’. Complicate operazioni dimostrano poi d’essere due invece di uno. In meno di un anno, in un segmento di spazio relativamente breve (la bisettrice che da via Saffi ruota per corso Garibaldi e si congiunge al fulcro della piazza), nella grigia alternanza dei locali erano poche le possibilità di non incrociarsi e invece sono state deboli le volte in cui, uscendo dallo spettroscopio della massa, ognuno ha riconosciuto nell’altro una particella presente e viva, anche se debolmente discernibile. Due fotoni impazziti e lucenti con il capo chinato quando si trattava di guardarsi, incastrati nell’algido esperimento di dedursi da labili segnali, due atomi altezzosi e fieri somiglianti ai primi della classe, i protoni, ma incapaci di coraggio se era il caso di capire da sé stessi quale fosse il comportamento reale (ondulatorio, corpuscolare) che, solo con il tempo e la dedizione, avrebbe reso due entità a prima vista distinte debolmente discernibili.
Highliner
Puntini di pioggia rigano l’aria con la nebbia fumida che sale come una signora sui tacchi e s’impania ai bordi. Ti aspetto sotto il portico del duomo, arrivi. L’allucciolio del tuo sorriso lieto sfiaccola fin da sotto, da sotto le statue severe, muschiate mentre lampi di visioni di giovani ragazze hanno anticipato la tua venuta, ora avverata, ora già capace di strinare le perplessità, le piccole e miserabili guerre psicologiche, ora sì sei già pienamente corrusca e la foschia interiore dissolta. Stretti nell’ombrello giriamo per via Santa Chiara, intenti a entrare furtivamente nell’università o a trovare riparo tra le grondaie con i capelli che ti s’imperlano e inzuccano come la regina azteca di Michtlán e la matita per gli occhi comincia sulle tempie a emettere segni sottili simili alle tante vocali accentate di sostantivi messicani. Ti spiego maldestramente tra occulte citazioni le presidenziali americane, i grandi elettori, le percentuali crescenti, il decisivo Nevada ― il tuo highliner intanto sborda, sporge, straripa nel bigio ruscello dell’accordarsi dei caratteri, nel fragoroso Mississippi del nostro concederci, il tuo highliner che sembra avvolgere giulivo ormai tutta la città e in piena comincia a esondare, a sradicare le cimose di ogni prudenza, travolgerci abbattendo argini di saggia salvaguardia, per entrare infine impetuoso e vittorioso nella meno saggia consapevolezza di iniziare a volersi bene, di pensare per calcolo o per sbaglio di restare insieme. I nostri sabati
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Trovo bellissimo passeggiare di sera con te, quando non ci sei e le chiome dei tigli sembrano correre in un inchino a spettacolo del giorno finito, dopo i calorosi applausi del vento. C’è sempre una distanza che ci distoglie dall’essere solo noi. Da questo sono preso e resto perplesso mentre il tuo viso interrogativo elude altro punto di sguardo, voltando la ciocca di capelli verso il mare tempestoso degli esami della vita che vivremo e non vivremo insieme aspettando la stella o il giorno giusto in cui il solo noi sarà davvero tratto in salvo.
Corredentrice
Quando passeggi e hai quella sicurezza snervante, quel tratto di trucco incerto, una compostezza singolare negli abiti un po’ punk. Quando vai in facoltà e ti vedo a lato, stai riflettendo su qualcosa d’importante ― non ti volti, fissi la strada davanti come a dire: ‘Devo essere ancora di più’. Quando ridi e osservi in profondo, non timida con fiducia irriverente, il cocktail e i tremori della bellezza sono dalla parte del tuo vento, sempre al fianco di quei vent’anni invincibili. Quando hai il coraggio che solo una donna può dimostrare, la capacità di alzare la testa sotto gli aculei, come un porcospino. Non so se dirlo è possibile ma credo che oltre il visibile e l’effettuale il mistero della femminilità non ti abbandoni. In questi e in altri episodi di cui ho perso traccia e che ritroverò, attento stenografo dei tuoi passi d’istrice, chissà con quale insolenza ricordi la Corredentrice.