cura e introduzione di Nicola Barbato
in video Nicola Barbato e Bruno Cassandra
Quincy Baltimore è lo pseudonimo adottato da un giovane autore romano classe 95’. Già poeta con la sua opera d’esordio “Primavalle” (Another Coffee Stories, 2022), è al lavoro con un romanzo che verrà pubblicato nel 2024 per Super Tramps Club. Quincy precisa che ha intenzione di analizzare, attraverso la scrittura della prossima opera, «l’aspetto dell’osservazione, della registrazioni di voci, gesti, situazioni, assurde o reali; un’osservazione legata a stretto contatto con la memoria, intrisa di un realismo assoluto: ricordi […] rivissuti per dare corpo a una sorta di epica generazionale del ricordo comune». Anche negli scritti che presentiamo, bene emerge l’attenzione dell’autore verso una realtà già nello sguardo scenografata. In questi testi entra in gioco, citando lo stesso autore, «l’occhio turbinante che scorrazza a braccetto con l’invenzione». “Limpf”, “Ugolini”, sono personaggi grotteschi di un mondo altro, delineati attraverso uno stile mimetico, dove la scelta del versicolo restituisce la ritmicità serrata dell’atmosfera tratteggiata. Queste figure vengono offerte mediante delle istantanee rapide, che riescono a condurre in una dimensione assurda, ma comunque plausibile. L’autore presenta delle corone poetiche, dove un micro-testo già pieno interagisce con gli altri testi della serie, sprigionando così tutte le pieghe dell’inventiva dell’autore. In ‘Limpf’ si vede un componimento costruito per tranci, non a caso parola-chiave del testo, la quale viene anche sottoposta ad artifici retorico-fonici come il poliptoto e l’equivocità (vv. 6, 7, 10). I giochi di suono e l’andatura per blocchi dei versi riescono a restituire quasi fonosimbolicamente la cadenza del ritmo operaio, una cadenza drammaticamente resa. Questa atmosfera stilistica ritorna nel ‘Capo di Limpf’, dove la prima parte del componimento (vv. 1-10) è deputata alla registrazione minuziosa del contesto scenografico asettico del capitalista, contesto in cui, in conclusione, si consuma la tragedia: Quincy intende mostrarci l’ambivalenza della figura protagonista, che, collocata nella sua ir-realtà, suscita un riso amaro, da marionetta di periferia. La figura di “Ugolini” viene presentata miniaturizzata, come i nani che lo circondano e lo osservano. Nella serie dei testi che ci restituiscono la sua vicenda, un non senso apparente è arricchito dall’attenzione minuta del poeta al verso, spesso sospeso in enjambement, lasciato aperto. Concludendo, ‘Blue Banana’ è un ottimo esempio della scrittura prosastica dell’autore: è uno scritto «caustico» che, mediante l’attenzione dell’autore per la costruzione ritmica della frase, conduce il lettore nello stesso «bagno a schiera di specchi e lavabi in granito della sede Rai di Largo Villy de Luca» dove «Alberto Angela aveva fatto uso di una droga di importazione nota come BLUE BANANA». Un viaggio tra personaggi e luoghi de-formati, vivo e detto come se fosse in presa diretta: Quincy Baltimore è un attento osservatore, e il suo stile nel drammatizzare il visto è assolutamente interessante.
Limpf
Germogliavano
i peli
sulle palle
perché immobili
nessun movimento
a tranciarli
come Limpf trancia
invece
i ferri in fabbrica
e poi quel trancio
di salmone
la moglie
no
non doveva
«Sono povero
cazzo
mi basta solo per
la Juve
lo stipendio»
lo stipendio di chi
vive
affittato dagli altri
Il capo di Limpf
Caffè
una pisciata
giornali con le foto della sua
Juve
vincere sempre
mai fallire
fallire è da operai.
Apre l’armadio
quello dei jeans
Martineddu
e trova
soli
i cadaveri
tantissimi
dei suoi figli morti
dopo averli
da solo
pensati
tantissimo
per preghiera non corrisposta
a qualche dea
Ugolini visto dall’alto
Io questo Ugolini me lo vedo tra i nani che si segnano il viso col riso e le dita a coltello: gialli d’occhio trippa per nani Ugolini da qualche parte tocca morire meglio se con tu loro
Ugolini visto da un nano
Sa di naso l’ombra del sole sa Se la guarda alla Marilina se la Ugolini io penso lui muore in Sicilia sì Sicily Quanto s’apre quella mano quando chiede l’ora: è ora di segnarlo
BLUE BANANA
A un Passaggio a Nord-Ovest di un pomeriggio di dicembre 2004 un caso fugace, nessuno lo ricorda, ma adesso, gli archivi, eh, parlano chiaro…
Alberto Angela aveva fatto uso di una droga di importazione nota come BLUE BANANA.
Se l’era calata nel bagno a schiera di specchi e lavabi in granito della sede Rai di Largo Villy de Luca.
Nell’occhio se l’era calata, la bustina che parevano i brillantini di Teresa quando fa carnevale con le amichette e lei si veste da Sailor Moon mentre il padre fa ciao con la mano da dietro le sbarre di scuola.
Adesso il padre è Alberto Angela che sta calandosi la BLUE BANANA ampliando la palpebra come Alex DeLarge e poi c’ha l’occhio tutto palpitante che ha assorbito le sostanze stupefacenti della BLUE BANANA e ora guizza, gira che gira assorbendo tutti i fotoni dei marmi di cesso e sullo specchio scrive in corsivo a mano mancina, lui che però fino a prima era destro “Ambi An Ambi An Mugasalan An An” che non sa cosa significhi ma forse è la lingua del paese d’importazione della BLUE BANANA, pensa. Si gira con la testa tipo gli gnu dell’Aconcagua, blu di capillari, oscuri intenti di fare il Ragnarok una volta fuori:
«Forse si tradurrebbe con i simboli degli antichi Fenici, se avessimo ancora testimonianze dirette di quel magnifico popolo di navigatori», si mormora fissando il lui blu.
È il suo momento. Va in studio.
Si gira tutto.
Parla blu per via della BLUE BANANA e quel pomeriggio della messa in onda, a Teresa, con l’amichetta del cuore a merenda con l’assetto di colori blu per un cielo in programma, le dicono:
«Guarda! Guarda, quello è il tuo papà! Quanto è bravo…».
Glielo dice la nonna dell’amichetta del cuore che dondola a ritmi fordiani sulla seggiola col plaid dei cani sopra e fissa quell’uomo che fa mosse mai viste in Italia, perché la droga è di importazione, la BLUE BANANA:
«Che bravo… Sembra uno scienziato, tuo papà. Parla forbito».
E Teresa che colora con Martina il cielo del Parco degli Acquedotti per un compito su Roma antica vista oggi.
«Roma era la patria degli avi delle ultime relazioni sessuali di un mio conoscente studioso di forme femminili. E fu nel 1997 che scoprirono che se strusci con i gomiti a secco sui ruderi diventi un po’ anche tu, la Storia… È un fenomeno a cui ancora oggi la scienza non ha dato risposta».
Afferma in muto che la nonna però pensava di sentirlo, il volume della televisione, quando invece sentiva la voce del suo Diavolo dentro che poi la spinse nel 2022 a votare Paragone con una svastica al posto della crocetta elettorale.
Blu d’occhi.
«Nella prossima puntata parleremo di prostituzione con ospiti del settore e una prova visiva di come funziona al giorno d’oggi questo mestiere che ha ben più di 2000 anni di trascorsi, pensate un po’…».
E finiscono le riprese; e lui si cala come nei ghiacci ma in quelli del tempo nel traffico che lo accoglierà subito dopo; le mani nei guanti il corpo nudo nel cappotto doppiostrato e la chioma scarmigliata da colpi psichici nello zuccotto: la torta del cervello ha una spolverata blu di droga, di BLUE BANANA.
Alberto Angela fa blublublublublù! assecondando il ritmo neurale dettatogli sul momento da un traliccio del trenino di Saxa Rubra ai confini del parcheggio dipendenti che gli pare Scooby-Doo ma col muso prognato a cranio di cane da incontri.
«Avevi gli occhi blu come il cielo, papà. Stavi in cielo?».
Teresa a casa coi colori blu del cielo che ha impiastricciato in punta di dita, punta di naso.
Tutta blu.
Alberto Angela però in poltrona, la posa dell’elucubro Secondo Impero, che sente solo rimbombare, solo lui in Italia
Ambi An
Ambi An
Mugasalan
An An