a cura di Giovanna Frene
da Le estreme conseguenze (Le Lettere, 2023)
prefazione di Omar Di Monopoli
anteprima editoriale
fotografia di Dino Ignani
I Am Thy Labyrinth
La casa in cui ti vivi è tutta un esitare [nel timore di un arrivare altrove hai messo in piedi un vorticare a sbando – ma perché?; per chi?; da quanto?; da quando?)]: tra il bagno e il tinello: i passaggi: due bivi: la finestra aperta: e il coltello: ed eccoti: a te la scelta, ti dici – gli occhi fissi atterriti sulla porta: esci: ritorni, per ora, tra i vivi: tra i panettieri in canottiera, tra i bar che aprono e la rumena storta che chiede, chiede, e tu non le rispondi [non sai nemmeno cosa chiede: tu non rispondi (perché torni già dentro: perché esondi)].
Memory, 3
Le conchigliette, il sugo di pescatrice, la lingua bruciata, uno dei vostri padri puliva il pesce a mani nude, interiora rimanevano incastrate sotto la fede, lui la sfilava, succhiava via, la ripuliva con la lingua, voi non avete mai detto, mai detto niente, ridevate inorriditi, tutto un silenzio che assecondava il fare dei vostri padri, uno fumava e sistemava le carte nel mazzo, gli occhi stretti al fumo, voi rubavate le sigarette dai pacchetti, facevate finta di fumare, le vostre madri vi colpivano le nuche esauste, giovani vecchie abbarbicate al balcone, guardare la strada giù lontana, tre piani, ipotizzarla un’occasione, un pensiero che si capiva dalle mani tremanti sulla tovaglia sporca di noci rotte, voi eravate comunque a vostro modo uniti, lo zio ricco apriva la grappa, ve la faceva odorare, uno dei vostri padri la beveva d’un sorso, gli occhi poi gli si facevano strani, eravate uniti in un ridere inorridito, una delle vostre madri esauste era sempre più tremante, accendeva una Multifilter Centos, una volta uscì sulla terrazza, un giorno tra il Ventiquattro e l’Uno, eravate certi che non sarebbe rientrata, o forse non lo eravate, certi, ma eravate uniti in qualche modo, le guardavate la mano sulla fronte, gli occhi aperti forte, gli occhi aperti forte sulla strada giù lontana, tre piani, la guardavate.
Diary of a Madman
I morti, ovunque, davanti e dietro – la caffettiera che stringi ti trema tra le dita e fuoriesce, rovente, il caffè, non ti tocca ma invade il lavandino: perché, adesso, pensi ai morti ovunque davanti e dietro?; non lo sai, non sai niente: ti stanca, il non sapere, sei stanco; alzi il volume della musica: l’unica cosa del tuo passato di cui non ti vergogni: ti vergogni se pensi a come eri: ti mastichi cose che avresti voluto dire, ti fai rimproveri che avresti dovuto farti mentre invece eri incastrato nelle convinzioni sull’amore che totalizza e riempie; ti vergogni se pensi a come sei adesso: sbagli tutto, sbagli sempre, hai foga, hai dadi da lanciare mentre sei affacciato, volano per tre piani, fai poi le scale, sei quasi fuori, senti un rumore di auto che corre e di cosa piccola che si rompe, vai per strada, dei dadi resta un niente sbriciolato, raccogli, risali, hai l’affanno, non capisci, ti dici che è l’ossigeno: non arriva bene al cervello: per l’anemia mediterranea, per le sigarette, per le camicie troppo strette (ripensi al rumore dei dadi sfracellati: ripensi all’ultima volta che hai pregato: il Rosario che ti si è sgranato – tra le dita tremanti, le palline hanno invaso il pavimento: per giorni, poi, tra le fughe e sotto il frigo, un ritrovamento); tutti i vestiti troppo stretti: sono i vestiti dei tuoi morti – il nonno magro, lo zio basso – e indossi solo quelli, ti senti un Telemaco che si copre con la lana delle pecore del padre: e aspetti, non sai cosa: riempi di nuovo la caffettiera che ormai non scotta più.
Aftermath
Ti sei detto che andrà tutto come non deve: molte volte: una sorta di superstizione intima: fino a (alla fine) crederci: così adesso ti sei: intubato, spaesato: tra wi-fi e Google Maps, nei luoghi più remoti della tua bambinezza – nel palpitare, ancora, inesausto: di quella adolescenza che ti ha visto smarrito in qualsivoglia folto, che ti ha visto superstite ignaro di battaglie che non hai fatto, mai: restano solo faglie: in fondo: dentro: molto: tanto che non sai più: non sai più rintracciarle: e ti guardi le mani: e non riesci a toccarle.
The Misery
Tutto attorno, tra gli amici, tra i giovani, nei giornali, nelle timeline, nei post: la lingua muta e tu ti trovi non mutato nella poltiglia stanca delle cose da dire come facevi prima (nel modo in cui facevi prima: sui quadernoni, sui fogli protocollo, nelle ore di stanchezza tra le espressioni e la bellezza mai riavuta di quella campanella, di quella ricreazione, la bidella, il caffè, il bagno affumicato, la scritta sulla porta della classe di lei: If you’ll fall I will catch): sai che non capiranno quelli che muteranno: e neanche tu: imbrigliato nel verso lungo, libero, magmatico – nel quale ti sei degenerato cedendo agli anni Zero: quando (non sai perché: non c’eri: non volevi) eri vero davvero: ora sei ciò che devi: zeppo di nostalgie stantie e malmesse, riflussi, acidità, cose rimesse.