Parole Contro | La vita, il merito

di Nicola Barbato


Su queste pagine si parla di poesia. In più occasioni ci siamo chiesti quale dovesse essere il rapporto tra la parola e il «qui fuori». Abbiamo dovuto: c’è la guerra. Questa chiamata, che è innanzitutto una chiamata a dire, ci è arrivata dall’esterno. Le spiagge a Steccato di Cutro sono piene di corpi, le spoglie negli stadi, o ancora si vedono disastri ferroviari vicino casa, a Larissa. Una persona si toglie la vita per l’università. Per queste tragedie, eppure, non nasce un sentimento di sorpresa. La comunità trema e si riassesta, velocemente. La cronaca registra i fatti, li fossilizza nella narrazione settimanale, poi sbadiglia e se ne dimentica. E continuerà a dimenticarsene sino al momento in cui si verificheranno vicende analoghe: allora lì, da pessimo filologo, inviterà al confronto, quasi vantandosi dell’enumerazione dei riscontri. Ma è noto il fatto che una pagina piena zeppa di cose identiche a sé stesse, nulla fa se non restituire un documento illeggibile per pesantezza e infondatezza argomentativa.

Su queste pagine si parla di poesia. E, di tutto questo, che dicono i poeti e le poetesse? Il nostro compito, è facile, non si identifica nello scrivere versi. La scrittura poetica può essere vista come una messa a testo di intuizioni ritmicamente rese: di queste intuizioni poco ne resta, sulla carta. Nel corpo dei versi sopravvive il minimo dello slancio. Ciò che non si legge in parola non viene smarrito, anzi. Resta dentro, configurandosi, potentemente, come punto di vista, modo di vedere. Continua a convivere con noi, e diviene habitus.

Come questi discorsi interagiscono fra loro? Si resta perplessi del vuoto di parola della comunità poetica su questi e altri argomenti. Si continuano a leggere tanti bei testi, note di indubbia validità critica. Ma «quando la casa brucia» bisognerà innanzitutto prenderne atto, poi darne voce, creare dibattitto. Non si sta chiamando la scena alla partecipazione ad una militanza; tantomeno crediamo al linguaggio dell’appello. Invitiamo, e questo invito riguarda immediatamente chi scrive, a prendere parola, una parola che sia precisa e puntuale, come quelle con cui informiamo i nostri componimenti. Non possiamo spogliarci dello sguardo sul mondo, non si può rimanere zitti, «quando la casa brucia»1.

Sono un ragazzo universitario. Poco tempo fa ho preso una lunga pausa dagli studi, ad un esame dalla laurea. Non ho retto la pressione, poi è passato. Però ricordo bene quella brutta sensazione. Voler muovere le gambe e non riuscire. Difficile a parlarne, anche con le persone a te vicine. Questo stato di cose per un percorso universitario. Qualcosa non va.
Ministero dell’Istruzione e del Merito. Ma del merito di che cosa? O meglio, ascoltiamo la narrazione retorica sul mito del successo individuale. Non ne siamo d’accordo. Anzi, ne siamo contro. È noto il modello aziendale che fa da sostrato architettonico ad ogni impalcatura scolastica. Chi gioca, con serietà mortale, con le parole, ha gli strumenti cognitivi per rendersi conto, nitidamente, di quell’ «elaborazione di un vocabolario ad hoc, che sta fra il gergo dell’impresa e la nomenclatura del laboratorio scientifico»2 adoperato nei luoghi dell’istruzione ad ogni grado e livello.
Vogliamo poter trascorrere un mese in più per preparare un esame senza angosce burocratiche. Non vogliamo che vi siano punizioni istituzionali per un anno fuori corso. Non vogliamo ascoltare più le storie di laureati eccellenti mentre si pranza a casa: smetterla, insomma, con questa propaganda. Le università mettono in condizione gli studenti di togliersi la vita.

«Nella casa che brucia continui a fare quello che facevi prima – ma non puoi non vedere quello che ora le fiamme ti mostrano a nudo. Qualcosa è cambiato, non in quello che fai, ma nel modo in cui lo lasci andare nel mondo. Una poesia scritta nella casa che brucia è più giusta e più vera, perché nessuno potrà ascoltarla, perché nulla assicura che possa scampare alle fiamme. Ma se, per un caso, essa trova un lettore, allora questi non potrà in nessun modo sottrarsi all’apostrofe che lo chiama da quell’inerme, inspiegabile, sommesso vocìo. Può dire la verità solo chi non ha nessuna probabilità di essere ascoltato, solo chi parla da una casa che intorno a lui le fiamme stanno implacabilmente consumando» 3.


  1. Cfr. G. Agamben, Quando la casa brucia, su quodlibet.it (https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-quando-la-casa-brucia) consultato il 10/03/2023.
  2. Cfr. G. Agamben, Studenti, su quodlibet.it (https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-studenti), consultato il 10/03/2023.
  3. Cfr. nota 1, ibidem.

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