a cura di Giovanna Frene
traduzione di Patrizio Ceccagnoli
da Decreazione (Utopia, 2023; per la collana Letteraria Straniera)
n.d.r. Ringraziamo Gerardo Masuccio e Utopia Editore per la gentile concessione
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
n°59
La vera gioia ha un prezzo che l’uomo fatica a pagare: disfarsi di sé, annientare il proprio io e osservare il mondo senza occhi, in contumacia. È un annichilimento che non conduce affatto al nulla, ma che anzi accentua la sensibilità, un disfacimento della creatura racchiusa nell’io e definita dall’io, la cui centralità distrae da una visione universale della vita. Sfidando ogni paradosso, in fuga dall’intralcio di essere ma di qua dal nulla, l’uomo si eleva privandosi dell’uomo che è. Un’autentica decreazione: l’annullarsi per essere appieno.
Gerardo Masuccio
da Fermate
Nessun porto adesso
Nell’antica lotta del respiro contro la morte, un sonno in più fu concesso. Abbiamo accettato un’offerta per la casa. Nella somma delle parti che ne è delle parti? In silenzio (lì) foglie e finestre aspettano. Il nostro stendibiancheria vuoto taglia in due la spiovente notte. E levando il loro lamento per un perduto abito di luce celestiale angeli e detriti incalzano scorrendo oltre il nostro cancello ancora chiuso.
da Sublimi
E la ragione rimane imperterrita
Alla ricerca di cose sublimi, ho camminato sulle grandi colline di fango e di vento dietro la città dove gli alberi insorgono secondo le loro leggi e si possono osservare innumerevoli metodi per spostare il verde – sotto, sopra, intorno, di traverso, su per la schiena, più in alto, a ventaglio, condensato, saccheggiato, con lo sguardo vuoto, come misurando con i propri passi una cella, come una discarica di grandi oggetti, minutamente, assorto, una foglia alla volta, con la furia dell’oceano, striato di ortica, trascinandosi avanti, non falciato, appena uscito dalle pozze, chiaro come Babele, che torre! Sparso nel cuore, verde nel vero senso, scosso da dardi, coronatamente, portando con sé i segreti della propria crescita verso l’alto, più giusto di un colpo, più cupo di Milton o perfino del suo re del terrore, idolo nelle sue parti oscure, come una parola coniata a indicare la «tormenta (d’amore)» o «linee ondeggianti» (architettonico), disprezzato, pulito, con narici ardenti, non un servitore, non rapido, rapido.
da Gnosticismi
Gnosticismo II
Dimenticato? Come ci ritorna la mente, tu apri la finestra (tardi) c’è un suono sibilante, quell’odore di freddo prima del sonno, tetti, scala ghiacciata, scalino ghiacciato, ne entra dentro un pezzo. Entra, rimane nella stanza un po’ di una viva colonna, dapprima nessuna differenza poi pallidamente, polvere, un’ammaccatura, una macchia di qualche ospite di secoli fa. Qualche ospite proprio adesso, fu l’ultimo amore o il solito io ho detto! Tu hai detto! Oh, il corpo, no, ascolta, liberandosi, la portiera della macchina che sbatte, la neve. Lontano, lontano, lontano, lontano. Lavato in quel sangue.
da Un mucchio di pistole (un oratorio per cinque voci)
Tenere pistole
[tutti fanno scattare le bandiere]
L’archeologia di Troia è un’archeologia delle pistole, poiché tutte le pistole del mondo sono arrivate a Troia, tutte le pistole mai inventate sono state inventate per Troia. Le pistole sono la rossa e tenera consuetudine di Troia. E così Omero inizia il sesto libro dell’Iliade con quattordici troiani trucidati. Uno dopo l’altro ciascuno viene nominato e abbattuto. Poi lo schema cambia. Menelao decide di prendere Adrasto vivo. La ragione è semplice: padre ricco, grande riscatto. Adrasto promette bronzo, ferro e oro. «Perfetto», dice Menelao. Al momento le cose sembrano andar bene per Adrasto. A quel punto Agamennone accorre urlando. «No, rammollito! Nessuno di loro scappi, nessuno di loro viva, nemmeno l’infante nel grembo di sua madre! Lascia che anche l’ultimo troiano cada lontano da Troia in un incurante oblio, senza casa, senza funerale e dimenticato!». Così parlò il nobile Agamennone e conficcò la sua pistola in Adrasto, nella parte molle del corpo che si trova tra la costola e l’anca e poi, girandolo, gli posò il tallone sul petto ed estrasse la gloriosa lucente pistola dal grande cuore e l’anima di Adrasto venne fuori con essa.
da E & A: sceneggiatura
Scena 2
Eloisa scende all’inferno. Primo piano sul viso di Eloisa, che parla a bassa voce con se stessa mentre il mondo le passa davanti volando. Eloisa: L’inferno non è niente di insolito. L’inferno è esattamente uguale alla vita di Eloisa eccetto che Abelardo non c’è. Abelardo non è mai esistito. Abelardo mai esisterà. L’inferno, si sa, è fuori dal tempo. Eppure l’assenza di tempo si divide perpetuamente in uno stesso momento (ripetizione) – il momento in cui lei realizza che Abelardo non c’è, il momento che esporta l’essere di lui al di fuori dell’idea che lei se ne è fatta in un nulla – uno stesso sbandamento calmo e freddo della verga dell’idea di lei in un solco di niente, (ripetizione) (ripetizione) (ripetizione) sebbene si potrebbe dire che nel complesso la sua stessa idea di lui costituiva un pezzo di esistenza per Abelardo proprio lì non importa quanto fosse affidabile si inserisce nel recipiente di plastica trasparente di una particolare negazione (ripetizione) – un punto che Eloisa avrebbe voluto dibattere proprio con il magister di Parigi, la cui teoria degli universali era un frammento di ricamo tra di loro fin dai primi giorni di seduzione e studio, se fosse esistito – sbandamento. Clic. Lo si filmi come si preferisce. È importante tenerlo distinto dalla seguente scena in cui Eloisa torna dall’inferno alla sua vita. Come sottrarsi all’inferno: flebilmente.