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Michael Donhauser | Poesie

a cura di Giovanna Frene
da E come mani erano i miei occhi (Poesie 1986-2022) (Molesini Editore Venezia, 2023)
scelta, traduzione e cura di Gio Batta Bucciol


SPOSTAMENTI #75

Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole




“Quel che caratterizza Michael Donhauser è la pervicace discrezione di un artista che solo apparentemente si tiene appartato dall’odierno universo letterario. Egli ha scelto e predilige il più controverso modo di far poesia, quello che passa sotto il nome di lirica della natura. Più volte Donhauser si è soffermato a definire con appassionata acribia il concetto di lirica della natura, concetto ambiguo come quello della natura stessa. Esiste, da un lato, un’interpretazione riduttiva di tale poesia che tende al sentimentalismo e alla nostalgia trasognata. Ma esiste, d’altro lato, anche una più complessa accezione di essa, che indica la possibilità di conseguire una percezione di sé poggiante sulla relazione con le cose della natura. Non si tratta, quindi, di dare espressione al muto mondo vegetale, quanto di fondare una nuova percezione. Pertanto la lingua diventa costituzione e fondazione di un vedere nuovo. Rifiutando l’andamento sentimentale, così frequente nella lirica della natura, la sua lingua s’increspa, s’impenna, volutamente si spezza, e richiede attimi di riflessione per essere giustamente intesa. […] La modulazione lirica, che traspare dai versi di Donhauser, ha una lunga storia alle spalle: il poeta non dimentica Hölderlin e Trac e, per tono e per forma, la sua poesia fa parte della letteratura che definiremo “alta”. L’inizio del percorso è annunciato da Der Holunder (Il sambuco) del 1986 e da Die Wörtichkeit Der Quitte (La letterarietà della mela cotogna) del 1990. Sono opere in cui il soggetto ritorna con insistenza a osservare le cose e i fenomeni naturali: le piante, i fiori, i frutti ma anche la sedia, la barca, la bottiglia, il telefono. L’oggetto viene accerchiato, squadrato con insistenza e reiterazione […] Anche dal punto di vista linguistico, il poeta tende a smontare, scomporre il flusso abituale della frase. Servendosi in modo personale – e arbitrario dal punto di vista sintattico – della congiunzione “und”, ossia di “e”, separa ciò che di norma è unito dalla congiunzione: egli pone la “e” in posizione inattesa quasi per suggerire una pausa […]. Nell’Incontro – facente parte di Dich noch und (Te ancora e) del 1991 – l’emozione della visione inattesa produce uno sconcerto interiore che si esprime nella perdita del controllo linguistico: lo scompigliarsi del flusso verbale, quasi una balbuzie, diventa speculare del momentaneo smarrimento, della timidezza interiore fronte all’inattesa epifania. […] Von den Dingen (Delle cose) del 1993 rappresenta un interessante passaggio del percorso poetico di Donhauser. Nelle composizioni di quest’epoca l’oggetto, dopo essere stato analiticamente indagato, è inserito in un più ampio contesto di speculazioni filosofiche, storiche e filologiche, come è testimoniato da Die Zypresse (Il cipresso). Dell’oggetto, sia esso un bosco di pini o un cipresso, si indaga per lo più il retroterra, ma all’oggetto realmente percepito si sovrappone subito nell’autore l’oggetto mentale e anche il suo equivalente linguistico: quasi a sondare la relazione che intercorre tra cosa e parola. […] Un’impostazione diametralmente opposta è offerta da Das Neue Leben (La nuova vita) del 1994. Qui la dizione si riduce all’essenzialità e alla stilizzazione degli haiku giapponesi. Un fluire ondoso di impressioni veneziane si insinua, invece, nei semi-sonetti dedicati alla Serenissima in Venedig: Oktober (Venezia: Ottobre). Di tutt’altra atmosfera vive Sarganserland del 1998. Sargans è un luogo di monti e valli nel cantone svizzero di San Gallo dove il poeta, nato nel vicino Lichtenstein, è vissuto. Nel capitolo intitolato Dintorni si recupera l’atmosfera di un luogo della memoria, ci si immerge nella natura dell’infanzia, nelle nevi invernali che chiudevano il Lugo come in una morsa, in una atmosfera d’incantesimo che impediva qualsiasi fuga […]. La neve riappare in Vom Schnee (Della neve) del 2003, ma essa non tende a diventare simbolo come avviene, invece, nella quasi omonima opera di Durs Grünbein, apparsa contemporaneamente, nel 2003. […] Per Donhauser si tratta di fare un viaggio attraverso le proprie sensazioni, di scoprire il fascino sia della coltre bianca, sia di quanto da essa è coperto, rimosso. […] Di una felicità, sia pure passata, si occupano anche le strofe di Schönste Lieder (I canti più belli) del 2007. Ci parlano della perdita dell’amore e della felicità questi versi, eppure una consolazione li attraversa “perché la lingua ristabilisce la felicità nel momento che la inventa, a dispetto della perdita, grazie a una risposta affermativa”. E qui si rincorrono le parole che formano il vocabolario tipico della lingua di Donhauser, come oscillare, frusciare, sfiorare, ebbrezza, la fragranza, il profumo, il sambuco, la veccia… C’è un piacere tattile nell’osservare le cose, nel circuirle, nello sfiorarle. […]”

dall’Introduzione di Gio Batta Bucciol


Incontro

Mai più ti vedrò in un altro modo un’altra volta
Perché come passante
Perché come donna in veste di cotone
Io e ti ho vista che
Gettate le bottiglie nel contenitore
Salita sul marciapiede
Dileguata leggera come affidata alla sera
Eri solo movimento e sei
Solo andatura e neanche un batter d’occhio o che
Senza che ci si sia incontrati
E i nostri occhi solo salutati e come sarebbe
Possibile se così fugaci, perché tu non persa
Sei con te o altrove
Stata sei un oscillare di braccia, di capelli
Un’esitazione, e poi ancora

Altura di Baumgarten

E nere si calano le cornacchie
Nel cielo della sera a stormi
A centinaia, quali brandelli di fuliggine
Come venisse giù frusciando una veste
Sul muro e oltre
E tra le chiome degli alberi
O più lontano nel chiaro della notte

Il cipresso

È una parola mediterranea
d’origine ignota.”
F. Kluge, Vocabolario Etimologico


“Il bosco di cipressi è un letto di chiodi.”
L’evidenza di un cielo che si fende.
Di un cielo che dirada nell’azzurrognolo.
Un letto di chiodi per il cielo: inarcato su un colle.
Con l’azzurro discendente: sulle punte dei cipressi.
Piacevole: che i cipressi sembrino scuri.
Scuri nel ricordo: vicino al nero.
(Mentre ora mi porto l’asfalto in corpo.
In testa: spazio dove echeggiano i miei passi – il cipresso.)

Dall’essere appuntito dipende la sua sopravvivenza.
(Appunto detto in sintesi: ne va della sopravvivenza.)
Non è il caso di parlarne ora, d’inverno.
Perché si indurisce per proteggersi dalla calura.
(Ma è il freddo che poi l’annerisce.
Gela la corteccia: e gelandola, la ustiona.)
Sì che svetta rigido nel vuoto del cielo.
Come forma obeliscante dello svernare.
Della bellezza slanciata: ma senza trasporto.
Con le gambe incrociate: ma senza le spalle nude.
Non è delicato il piede sulla pietra: un tronco di tendini.
Così se ne sta caldo: ma non per dispiegarsi.

[…]

*

E nelle calli c’era già quell’usuale vita
di splendore e monotonia, sì che l’uno
si compenetrava nell’altra a intrecciare
la siepe lungo la quale mi muovevo quasi
come un perdigiorno: avevo le mie stanze
lì ed esitavo ad arrivare nella città spesso
illustrata e su cui stava una falce di luna

*

E qualcosa urge e si arresta e precipita e qualcosa
si satura, si culla, conosce, diventa, spira,
dolore che resta e gioia e colpa che trascorre,
divide, finché tutto fluisce, finché il tempo
poi manca per tutto.



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Michael Donhauser (Vaduz 1956), poeta, narratore e saggista, vive per lo più a Vienna ed è considerato tra i migliori poeti in lingua tedesca della sua generazione.




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