a cura di Giovanna Frene
Cinque poesie inedite in Italia tradotte dall’ucraino da Marina Sorina e dall’inglese da Pina Piccolo.
SPOSTAMENTI #78
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
dici: quando l’acqua scenderà, i nostri occhi saranno asciutti,
avremo in gola il groppo delle parole non gridate,
qualcuno entrerà nelle case,
porterà giù dai solai i corpi zuppi d’acqua come il pane,
l’opera di Dio dovrebbe compiersi qui, in cima al presepe,
la maggior parte dei nati in questa terra per morirci,
credevano in te, o Signore, e che la loro morte non sarebbe stata così atroce.
dici: mangiate il mio corpo, bevete il mio sangue,
seppellite i vostri morti nella melma della memoria,
nel pantano dell’anima
la vita eterna inizia lì,
dove l’amore s’aggrappa
all’orlo del tettuccio con la mano del morto,
dove lungo la riva fra i morti e i vivi,
resteranno come un eterno rimprovero, i giunchi.
è vero, che tornerai, o Signore, da ciascuno di loro? e da ciascuno di noi?
ci manderai una colomba con un ramo d’ulivo?
i nostri occhi accecati dall’ira e dalla disperazione scrutano il tempo:
quanti ci sono annegati o emersi, nello stesso tempo –
il granello di senape della fede,
la croce della chiesa cosacca,
il doppio fondo della misericordia.
Traduzione dall’ucraino di Marina Sorina, poesia scritta dopo che la federazione russa aveva fatto saltare la diga di Kakhovka
*
in questa casa
il corpo, ancora caldo, di una poesia
è appeso al chiodo della quotidianità
toccato nel profondo
come un rimprovero, come evidenza,
che io, qui, c’ero
e che tu, qui, c’eri
e che tra di noi qualcosa c’era
inarrestabile come il respiro
incerto come un bacio
irrilevante per chiunque tranne che per noi
Amo in te le possibilità,
che non abbiamo consumato,
la strada che avremmo potuto percorrere,
ma che non abbiamo percorso
la scelta che non abbiamo fatto,
l’aver voluto tutto, qui e ora
invece che un po’
alla volta
Talvolta una poesia si trasforma in una casa
che costruisci sull'orlo dell’abisso,
per il puro bisogno
di andare oltre la realtà.
E per questo dolore
e per questo dolore non posso darvi un nome
e per questo dolore non posso darvi lacrime
e ovunque andiamo è alle nostre calcagna
come un terrore sottocutaneo come un grido congelato come uno di noi…
Sono la moglie di Lot che si è girata a guardare il mondo un'ultima volta
sopravvivere
che cosa ci trattiene dal regolare i conti,
che cosa ci dà la forza per nuotare nell’acqua gelida di una mattina di febbraio,
esalando una nuvola di vapore blu, come fumatori accaniti che sbuffano il fumo
che cosa ci fa indovinare dov’è la riva più vicina,
dove, prima o poi, riusciremo ad arrivare, a restare saldi
che cosa ci mantiene a galla, ci impedisce di annegare, ci spinge fuori dall’acqua
oltre che il principio di Archimede, lo sforzo di Sisifo,
oltre il grasso sottocutaneo e il desiderio di nuotare il più lontano possibile
in questo profondo allarme che ci acquieta e ci trascina,
in questa disperazione acre che ci stringe il petto,
costringendoci a inspirare ed espirare
noi siamo quel che reprimiamo ai margini della coscienza,
in una caotica sequenza video di incubi sul peggio che può accadere,
nella confusione di impressioni infantili, che non riusciamo
a ricordare o a dimenticare
ecco quel che non possiamo ammettere neppure a noi stessi,
e figurarsi agli altri, perfino faccia a faccia con la morte:
non è la forza a trascinarci, bensì la debolezza
nuotiamo sempre alla riva più lontana
questo lo sapranno solo quelli a cui non mancherà
la forza di nuotare, di arrivare alla terraferma, di guardarsi attorno,
di dare per scontato
che da qualche parte In mezzo all’acqua,
dove il fondo è davvero più vicino che la riva
(perché il fondo è sempre più vicino)
e il corpo rifiuta di nuotare e i polmoni di respirare,
qualcuno ha già preso il nostro posto
e nessuno se ne accorgerà
Resina
Un giorno la guerra finirà
e finalmente rinasceremo tutti,
oh, come rinasceremo,
guariremo come ferite,
ricresceremo come monconi
di gambe o di braccia,
come l’orbita vuota di un occhio
dove è buio per sempre
chiameremo i morti per nome
e tutti verranno
e ci fisseranno
finché il sangue non si sarà coagulato
come resina
Ma per ora tenetevi forte
alle radici del biancospino
Il biancospino cura i problemi del cuore
perché solo il cuore può contenere tutto questo
la mente invece si rifiuta di afferrarlo.
(Dalla raccolta A Crash Course in Molotov Cocktails, Arrowsmith Press 2023, traduzione dall’ucraino all’inglese di Amelia Glaser e Yuliya Ilchuk, e dall’inglese di Pina Piccolo.)
Halyna Kruk, nata nel 1974, è una pluripremiata poeta e scrittrice, traduttrice e studiosa di Lviv (Leopoli), Ucraina.
Autrice di cinque raccolte di poesia, Una donna adulta (2017), Co(una)esistenza (2013), La faccia dietro la fotografia (2005), Viaggi in cerca di una casa (entrambe pubblicate nel 1997), la raccolta di racconti Chiunque tranne me (2021), e quattro libri per bambini, tra cui Marko viaggia per il mondo e Il più piccolo che sono stati tradotti in 15 lingue. È vincitrice di numerosi premi letterari in Ucraina, tra cui il Premio Donne nelle Arti (2023), Il premio del Fondo Kovaliv (2022) per il suo libro in prosa Chiunque tranne me, il premio per il miglior libro del BookForum (2021), il premio per la Poesia Smoloskyp, il premio Bohdan Ihor Antonych Prize e il premio Hranoslov. Le sue opere sono state tradotte in numerose lingue, la sua ultima raccolta di poesia A Crash Course in Molotov Cocktails è appena stata pubblicata negli Stati Uniti in versione bilingue ucraino e inglese. Halyna Kruk è una co-creatrice di progetti multimediali, tra cui il progetto The BookWar (in collaborazione con il musicista elettronico Yurko Yefremov e la cantante Halyna Breslavets (2021) e la performance di poesia e musica The Resistance of Matter (2016). Ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura barocca ucraina (2001) ed è membro attivo della sezione ucraina dell’associazione PEN. Vive a Lviv, dove insegna letteratura barocca europea e ucraina all’Università Nazionale Ivan Franko.