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Gianpaolo Mastropasqua | Frammenti per l’apocalisse

cura e introduzione di Ilaria Palomba
fotografia di Dino Ignani


Bordi
#7


Gianpaolo Mastropasqua è sulla soglia di un precipizio da cui osserva il mondo trasformarsi in fuoco: erotismo e apocalisse, con impeccabile lirismo, e l’autenticità di consegnarsi alle forze cosmiche. In lui poeta, musicista e psichiatra si cercano, l’uno ombra dell’altro suono dell’altro, e si fuggono lungo una linea trafitta da voci. Il precipizio è la follia hölderliniana dove canto e visione al centro di un gorgo risuonano musicali e teatrali nella tragicità corale di greca memoria. La musica entra travolgendo la parola in un paesaggio lunare incantato dove il primo uomo e la prima donna sono l’ultimo uomo e l’ultima donna. Nelle poesie qui selezionate, ritroviamo la stessa musica ma crescente, dall’inizio alla fine, dal silenzio all’impeto; una costruzione che lega l’incedere degli istanti, un cammino nella sabbia, nel vento, nelle strade perdute spagnole, nelle città sognanti, nei boschi, tra note incarnate e nitido sguardo sulle radici e sulle rovine.


da In silenzio maggiore – Poesiaconcerto 1999-2005

Il poeta

Vivo in un metro quadro che mi vuole bene 
domani ci sposerà il prete bianco del muro 
con la santa calce in testa. E scriveva

con le mani inchiodate al cervello
nel pomeriggio di una luce breve: 
questa storia è una partita a scacchi 
che il matto – là sono io!

Distratto per cena mangiava se stesso.

da Viaggio salvatico

Io Jean Modigliani Monicelli

Abbandonai il corpo come lo trovai
per strada, in un lenzuolo d’ospedale
nel tramonto azzurro di un tuffo anziano
trascinai nel respiro tutti gli amori
di Truffaut, le fanciullerie di Mozart,
i rossori di Rousseau, la maledizione
di Malher e la mia ultima agorafobia,
odiavo le piazze di carne, i marchi
di qualsiasi natura o prigione, le stalle mentali,
la prima comunione, la corruzione sorridente
degli udenti, la compravendita dei vedenti,
con il mio scherzo volli svegliare,
con la commedia lottare, con la parola
incendiare, con il corpo intero amare.
Ma era il tempo dei nani, e i giganti
murati vivi, sussurravano dalle pareti
come libri proibiti, e l’ultimo eroe
solo e inutile come dio, imparò a volare
crocifisso e leggero, senz’ali o correnti.
Non dimenticate i nomi delle foglie
il salice d’acciaio attende nel giardino
della neve, non lasciate sassolini o fiori
spezzati, sulla mia tomba accidentale,
portatemi le scarpe che lasciai ad asciugare
sul cemento del Danubio, all’età del piombo,
e un labirinto sotterraneo per i miei amati viaggi,
portatemi una foresta di sogni primitivi, un verde
cosmico, un mondofiore, un neonato dolore.
La bimba confusa e veggente, ritornando
dalle pietre – Padre, che cos’è un poeta?

(Roma- Parigi-Budapest)

da Danze d’amore e Duende

Visione a Fiamma 

Corri in piazza Dam pedalando i raggi
del sole, con le labbra folli d’amore
e il tuo fisico quantico, concerto d’uccelli.
Non so dove ti vidi, in quale remota
voglia, in quale iconografia azzurra
in quale spargimento di seme o altura,
non so se la tua voce fu umana
o scherzo di molte nuvole brille
o abbandono di briglie al galoppo
dei sogni, non so se nacqui ancora
nei compleanni dei tuoi seni sciolti
nella fantasia di un violinista zoppo
dove arcani cantano idiomi maggiori
e la vista fiamminga spiazza l’incredibile,
non darmi nomi se non di folle o neve
per suonarmi ebano nelle tue contrade
nelle vetrine del tuo sesso morbido
dove arpeggiano le triadi del volo
tra le bare dei tuoi amanti normali.

da Ologramma in La minore – Accordatura orchestrale 432 Hz

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Tu
soffi
limpida
sulla fronte
occipitale
del padre silenzio 
come la fuga antica
che ritornava infanzia
frantumandoci come pioggia
nella calda oralità promiscua
della prima lingua di luce attinta
come il fuoco che chiamammo amore
tra questi monti lattescente
con cui difendemmo il rito
per la danza sottile
dove muore l’uomo
e nasce l’altro
in pianure
sepolta
vivo
Io

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Io
vivo
sepolta
in pianure
e nasce l’altro
dove muore l’uomo
per la danza sottile
con cui difendemmo il rito
tra questi monti lattescenti
come il fuoco che chiamammo amore
della prima lingua di luce attinta
nella calda oralità promiscua
frantumandoci come pioggia
che ritornava infanzia
come la fuga antica
del padre silenzio
occipitale
sulla fronte
limpida
soffi
Tu

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