Davide Galipò – Se la Barilla (non) rende liberi

In questi giorni il mio editore, Antonio Lillo, mi manda il primo editing del mio prossimo libro, 𝙸𝚜𝚝𝚛𝚞𝚣𝚒𝚘𝚗𝚒 𝚊𝚕𝚕𝚊 𝚛𝚒𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊, dicendomi che la poesia visiva che apre la raccolta, “BARILLA MACHT FREI”, sarebbe un problema e andrebbe modificata perché, previa consulenza del suo legale, riporto un marchio registrato della Barilla e l’azienda potrebbe sporgere denuncia per uso illecito della proprietà industriale.
Gli spiego l’esegesi dell’opera – perché di opera si tratta, e quindi per me andrebbe mantenuta nella sua interezza: si tratta appunto di una poesia visiva, un esperimento su macchina da scrivere. Ho utilizzato il logo della BARILLA per due motivi: il primo, di carattere personale, è che sono celiaco; dunque per me la BARILLA rappresentava il marchio inarrivabile per eccellenza, dato che produceva solo pasta di grano duro; poi, qualche anno fa, hanno iniziato a produrre anche quella senza glutine; per me è stata una sorta di epifania, un riconoscimento straordinario, perché per la prima volta la principale azienda italiana produttrice di pasta si stava accorgendo della mia esistenza.
Il secondo motivo, strettamente politico, è legato a uno degli slogan più famosi dell’azienda, «Dove c’è BARILLA c’è casa», condito da una stucchevole immagine della famiglia tradizionale (e patriarcale) italiana che si siede in tavola di fronte a un piatto di pastasciutta. Ora, sarà che io sono cresciuto in una famiglia disfunzionale e non passava giorno senza che i miei si lanciassero i piatti addosso, ma quell’idea mi è sempre sembrata tremendamente conservatrice, quasi a livello della famiglia felice della Mulino Bianco. Allora ho pensato: se, effettivamente, la famiglia italiana era la prima cellula dello Stato fascista – che, come sappiamo, è stato complice dei campi di sterminio – be’, détournare quello slogan con “Arbeit Macht Frei”, il motto sul cancello di Aushwitz, potrebbe annullare l’idiozia del primo e la cattiveria del secondo. Se mangiare pasta ci fa sentire a casa e – va da sé – mangiarla con la famiglia ci fa sentire italiani, cioè abitanti di un Paese dove “chi non lavora non fa l’amore” (cfr. Celentano) e “il lavoro rende liberi” (come ad Aushwitz), allora BARILLA MACHT FREI mi sembra un titolo perfetto per raccontare una storia d’amore finita male.
Gli ex amanti si odiano senza sconti. “Odiare è umano, perdonare è cristiano”, dal provenzale “crétin”, cretino: persona semplice, assorta nella contemplazione delle cose celesti. Quest’odio, se canalizzato in modo appropriato, può portare alla Rivolta, e cioè a smettere di contemplare la vita e a viverla nella sua interezza, abbracciando una forma di amore più ampio, non più per una sola persona, ma per l’umanità intera. Da qui la caduta dei valori tradizionali – dio, la patria, la famiglia – e, visto che siamo in Italia, della pasta BARILLA.
Per quanto riguarda invece il riutilizzo del marchio registrato, che è consentito, trattandosi di un’opera d’arte – sia all’estero che in Italia abbiamo precedenti illustri, tipo Mario Schifano e il suo Coca-Cola – la BARILLA potrebbe chiedere un risarcimento per contraffazione solo ed esclusivamente nel momento in cui il mio fosse un utilizzo di tipo commerciale del marchio e che questo vada a ledere l’immagine dell’azienda. Cosa che non è, dato che la raccolta s’intitola 𝙸𝚜𝚝𝚛𝚞𝚣𝚒𝚘𝚗𝚒 𝚊𝚕𝚕𝚊 𝚛𝚒𝚟𝚘𝚕𝚝𝚊 e contiene il loro marchio ai soli fini di espressione artistica.
Basti considerare il precedente dell’artista danese Nadia Plesner, che nella sua opera “Darfunica” ha raffigurato un bambino del Darfur che indossava la borsetta “Audra” di Louis Vitton. L’opera è stata poi riprodotta su gadget e magliette, Louis Vuitton ha lamentato che questa associazione comportasse un danno alla reputazione dell’azienda e una violazione dei suoi diritti di proprietà industriale. La Corte dell’Aja ha tuttavia riconosciuto che l’uso fatto dall’artista dei diritti di proprietà industriale all’interno dei suoi quadri fosse “funzionale e proporzionato” e non volto a un “mero fine commerciale”. Questo crea un precedente importante, per il quale vige comunque la libertà d’espressione. Quanto ai limiti della portata dei diritti del titolare del marchio, a livello comunitario già da molti anni si è evidenziato come l’adozione di un’interpretazione troppo rigorosa avrebbe privato l’arte contemporanea di alcuni dei suoi quadri più espressivi mentre il giudizio, caso per caso, debba necessariamente tenere conto (anche) della libertà artistica e di espressione (cfr. Conclusioni del 13 giugno 2002 dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE nel noto caso “Arsenal”). La questione è stata presa in considerazione anche dal legislatore comunitario. Di libertà di espressione artistica parlano infatti ora, rispettivamente, il ventisettesimo Considerando della (nuova) Direttiva (UE) 2015/2436 e il ventunesimo Considerando del (nuovo) Regolamento 2015/2424/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015, affermando che “L’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Inoltre, la presente direttiva [il presente regolamento] dovrebbe essere applicata [o] in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione”. (https://www.artribune.com/…/marchi-celebri-arte-rapporto-b…/)
Tuttavia, per evitargli il rischio che le copie vengano ritirate dal mercato – cosa che, in caso di una tentata causa, potrebbe comunque capitare – gli propongo, come già gli avevo accennato, di modificare il logo come da immagine. Se questo non dovesse bastargli, sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità del caso, pubblicamente e per iscritto.
Davide Galipò (1991) porta in scena i suoi versi dal 2014. Nel 2015 dà alle stampe la raccolta di poesie visive ViCoL0 – Giornale in scatola inesistente. Nel 2016 è tra i quattro finalisti del premio Alberto Dubito con il progetto di spoken word music LeParole, per il quale interpreta i testi dell’EP Volontà di vivere. Nel 2017 suoi testi vengono inclusi nel volume Rivoluziono con la testa (Agenzia X). Nel 2018 un suo saggio su Patrizia Vicinelli viene incluso nell’albo di «Argo», Confini (Istos Edizioni). Nel 2019 suoi testi critici vengono inseriti nel catalogo della mostra del poeta visivo belga Luc Fierens, Punti di vista e di partenza (Fondazione Berardelli). Ha pubblicato racconti e poesie su «Crapula Club», «Svacco Creativo», «Narrandom», «Neutopia», «La sepoltura della letteratura», «Inverso – Giornale di Poesia». Dirige «Neutopia – Rivista del Possibile». È ideatore del festival di nuova poesia e urbanismo Poetrification. La sua prima raccolta di versi, Istruzioni alla rivolta, ha vinto il concorso di scrittura civile «Luce a Sud Est» ed è in pubblicazione presso l’editore Pietre Vive.

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