Ferruccio Benzoni – Diario di un’amicizia

da Il Foglio Clandestino n°84/85
di Gabriele Zani

*

Di Ferruccio Benzoni, nato a Cesenatico il 18 febbraio 1949, mi sono occupato più volte, sia prima sia dopo la sua scomparsa. Lo conobbi nella primavera del 1983, quando gli portai da leggere le mie prime poesiole: «solo più tardi realizzai che non avrei potuto scegliere un momento peggiore per incontrarlo: era appena morto il suo grande amico Vittorio Sereni. Me le restituì dopo un paio di mesi senza alcun commento, o meglio, consigliandomi di leggere e leggere»1.

L’incontro decisivo avvenne nel 1990, quando, un poco più svezzato, mi ripresentai da lui proponendogli un’intervista che sarebbe apparsa quello stesso anno in una rivistina cesenate di cui mi occupavo, «Libere carte», per un numero interamente dedicato proprio a Sereni. Da quel momento in poi abbiamo continuato a frequentarci regolarmente; gli ero accanto anche il giorno in cui ci lasciò, in una clinica di Cesena, il 16 giugno 1997.

Come già scrivevo l’anno dopo: «Naturalmente ci si augura che in un tempo ragionevole venga pubblicato un volume che riunisca tutte le poesie e le (bellissime) prose: non solo per rendere piena giustizia a Benzoni, ma anche per offrire al suo futuro lettore un’opera di singolare, intima coerenza e il quadro completo dei vari scarti o assestamenti stilistici via via intervenuti»2.

Ebbene, siamo nel 2019 ma l’auspicato volume non ha ancora visto la luce, il che la dice lunga sulle disattenzioni dei cosiddetti grandi editori, di cui non parlo a caso, bensì perché, come ancora ebbi modo di scrivere in seguito: «null’altro che una scelta da un libro già pronto per la stampa poteva sembrare e doveva essere, quella delle quattordici poesie e una prosa da Canzoniere infimo, che uscirono nel mondadoriano ‘Almanacco dello Specchio’ n. 11, del 1983 (pp. 363-379). Franco Fortini ne fu l’introduttore, come subito avvertiva, a causa della sopravvenuta scomparsa, proprio nello stesso anno, di Vittorio Sereni, che aveva concepito la scelta. Ed è bene anche qui ricordarlo: tanto più apparirà scontato che se a quel 1983 Sereni fosse sopravvissuto, il libro di Benzoni sarebbe uscito da lì a poco, quasi non occorre dirlo, per i tipi di Mondadori». Concludevo quel mio contributo con una osservazione che mi sembra opportuno ribadire: «La poesia “figliale” di Ferruccio Benzoni, scavalcando l’idea diffusa di una ricerca dell’originalità e di una propria voce, si presenta forse unica nel Novecento italiano, comunque totalmente diversa da quella dei poeti suoi contemporanei. Nel solco di quella di Sereni, lascia in eredità un segnale etico forte: l’amicizia»3.

Quale ulteriore testimonianza di una amicizia e di un sodalizio per me indimenticabili, ripropongo dunque alcuni miei ricordi personali: stilati nel corso di un ventennio, ora si possono leggere, uno dopo l’altro, come pagine di un diario che, se tanto mi dà tanto, non sarebbe dispiaciuto a Ferruccio4.

Da diversi anni sei considerato uno dei poeti più significativi che abbiamo. Fortuna critica?

Fortuna critica; non tanto editoriale. Esistono poeti (miei coetanei) che pubblicano un libro ogni due anni, che si stroncano e recensiscono a vicenda. Non so come ci riescano. Io ho avuto dei lettori-critici come Orelli Raboni Fortini Mengaldo Sereni e – ero più giovane – il nostro amico Renato Turci, Gatto e Pasolini. Lettori, come vedi, che possono avermi insegnato l’intransigente pazienza della poesia.

Se ti facessi una domanda sulla morte?

La morte è un po’, come dire?, una sorellastra di chi scrive. Gatto ha scritto «il vino dei poeti», ma a questo punto, non credi, potremmo stappare un’altra bottiglia…

Certo, ma non ho più domande. Vuoi formulartene una tu?

La donna che amo. Come vedi è qui al nostro tavolo. Non so per quanto, né per quale sortilegio.

Cesenatico, giugno 19905

*

Un pomeriggio d’estate


a F. B.


Ritornerà mi dico, ritornerà il momento
di parlare del verde. Ma le tinte che ora
(proprio ora) rialzando gli occhi io vedo,
ritorneranno le stordite tinte di gioia?
Chiudo il libro. Faccio le scale.
E il verde è già lontano. Lontano come me.


(1990)6


A “Benz”


Un pomeriggio d’estate
ritornerà mi dico, ritornerà il momento
di parlare del verde. Ma le tinte che ora
(proprio ora) rialzando gli occhi io vedo,
ritorneranno le stordite tinte di gioia?
Chiudo il libro. Faccio le scale.
E il verde è già lontano. Lontano come me.


*


Se una canzone un canzoniere
non cambierà la vita, pure
tra pertugi e naufragi
una gioia proteggi, musica
nel chivalà degli anni


(1990)7

A due passi dalla porta a vetri, sotto la prima delle due finestre, il piano di lavoro è quello, quadrato, di un tavoletto da cucina. Su di esso si trovano: i volumi cari, un paio di lettere ricevute, un bicchiere di vetro che funge da portapenne (adopera stilo dall’inchiostro rigorosamente nero e dalla punta non troppo fine), i consueti medicinali, il fedele ventolino, un secondo paio d’occhiali “alla Pasolini”. Scrive in una minuziosa calligrafia su quaderni a quadretti dalle pagine giallognole e dalle copertine floreali. Archivia le poesie all’interno di una cartella blu, di plastica, che ne custodisce altre che a loro volta celano, come nel gioco cinese, la sezione già fatta dattiloscrivere di un futuro liber o un mannello di fogli appena sudati e tenuti assieme da una pinzetta d’acciaio. Ma ecco che ricompare il gatto, un gatto che sembra nato per dormire… […]

Eh sì: agli animali domestici sarebbe da dedicare un capitolo a sé. Dirò solo che ne ho visti passare diversi da Ferruccio in questi anni. Ora c’è un cagnolino nero dal nomignolo aristocratico ma dall’invero assai dubbio pedigree e una cocorita (in onore a Saba?) che continuamente si rimira a uno specchietto circolare – a turno investiti d’affettuosi soprannomi o da salaci epiteti e attentissimi o sonnecchianti (a seconda l’umore del padrone – ma padrone è termine improprio: dovrei dire compagno di viaggio) destinatari di memorabili conversari8.

Ferruccio Benzoni è stato, come egli stesso amava definirsi, il mio “fratello maggiore”. Lo è stato, e forse non poteva essere altro che così, in ogni senso. Non solo, intendo dire, letterariamente. E non tanto per pendenze anagrafiche. Ho sempre pensato, piuttosto, ci accomunasse un’infanzia difficile, un’adolescenza complicata (la sua, va detto, molto più drammatica della mia), ma insomma una fatica a crescere… E in fondo eravamo entrambi figli unici… […]

Questa plaquette, come le precedenti mie ad eccezione di quella d’esordio, prima di finire dal tipografo, è passata a più riprese da casa di Ferruccio, a Cesenatico. Andavo quasi sempre di sabato o di domenica, quasi ogni settimana, intorno alle tre. C’era tra noi, senza bisogno di raccomandazioni o telefonate preventive, questo tacito appuntamento. [.]

Anche del colore della copertina avevamo parlato: gialla questa volta, di un giallo ocra, caldo e spento, come certo pane fatto in casa, da cui l’odore buono della poesia9.

Rubrica


Alla fine faceva solo rabbia ancora lì
tra tutti gli altri ancora quel suo numero.
Tanto valeva tirarci una riga sopra.
Tanto non te lo scordi neanche se vuoi
che hai avuto un amico
che un amico non si cancella mai
che non c’è nero che basti
non c’è inchiostro.


Notturno


per Ferruccio Benzoni


Questa da me discosta specchiera deserta
stanotte posso fino alla noia fissare
uno sguardo sentendomi che indietro non torna
e si perde con quelli che potevano essere e non sono stati.


Perché dopo tutte le notti lì davanti già passate
adesso solo di perdermi ho bisogno
tra i murali anneriti dal fumo
i bicchieri riempiti e svuotati
fino a dimenticare di essere
io stesso un’ombra della mia stessa ombra
seduto a uno sgabello i gomiti sul banco
neppure un volto in sosta accanto al mio (10).

Dell’amicizia

Milano. Come un turista a passeggio per Milano, ma non sono un turista, non sono qui per il Duomo o che. Devo sbrigare una commissione importante.
Mi aggiro ansioso da una vetrina all’altra, intorno al Diana, l’Hotel dell’appuntamento.
Ho fretta, la cartella mi scotta in mano, contiene dei preziosi di inestimabile valore per me, per chi gli ha voluto bene, il dattiloscritto dell’ultimo libro di Ferruccio Benzoni, Sguardo dalla finestra d’inverno.
Lo scrisse lo scorso inverno, in pochi mesi, e mai titolo fu più adeguato, fiutando egli l’approssimarsi dell’inevitabile.
Pochi mesi fa, e siamo appena in autunno, ancora non fa un anno.
Giovanni Raboni arriva puntuale, subito dopo pranzo, come s’era concordato. Tra un caffè e una birra piccola mi domanda se l’ho letto, le mie impressioni.
– È un libro molto, molto bello, ma anche qualcosa di più, – credo di avergli detto.
– Bene, – fu il suo commento. – Bene.
Anche lui aveva fretta quel giorno. Gli passai la cartella.
Ci abbracciammo appena fuori, in strada.
L’ultima volta che l’ho visto11.

Ferruccio Benzoni sosteneva che la sua poesia implicasse «una complicità, una familiarità, una dimestichezza» da parte del lettore.
Si augurava un lettore partecipe, capace di appassionarsi delle sue ritornanti passioni, tra le quali primeggia quella per il cinema di François Truffaut.
Questo tipo di lettore non occasionale, in effetti, può avere la fortuna che ho avuto io, quando sono andato a leggermi Autoritratto, libro che raccoglie molte lettere del regista.
Domanda a Helen Scott, in una missiva da Parigi: «Quali sono gli articoli parigini che le servono: libri, giornali, riviste, dischi, caramelle?»
Non sappiamo la risposta dell’amica americana, ma conosciamo quella di Benzoni.

Senza eredi


Libri giornali riviste dischi caramelle:
quanto di più amo con un po’ di grippe.
E la gatta naturalmente.
Come di jersey il suo pelo.
È la mia solitudine
affettata (ammetto) sfiatata
se spiove; se ho un po’ di tosse (12).


Capii ben presto di aver trovato il supervisore che cercavo: dopo aver letto una poesia diceva soltanto «questa sì» o «questa no», senza perdersi in commenti e consigli.
Col tempo, poi, i suoi giudizi si fecero più confidenziali, «qui ci sei» o «qui non ci sei», e cominciai a capire che le mie cose gli stavano a cuore.
Ricordo un pomeriggio, una poesia che gli piaceva, mentre io continuavo a esserne poco convinto, non ricordo più per quale motivo. Allora prese una penna, in calce al testo appose la sua firma e disse: «Se a te non piace la tengo per me, la metto in un mio libro!».
Conservo ancora, religiosamente, quell’ingiallito foglio dattiloscritto (13).

Note

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1 In Appunti per Lugano, «Verifiche», 40, n. 2, aprile 2009, p. 21. Poi in Sereni e altri dintorni, Bohumil, Bologna 2011, p. 86.

2 In Ricordo di Ferruccio Benzoni, «Poesia», XI, n. 122, Nov. 1998, p. 46.

3 In Benzoni attraverso Benzoni, «Archivi del Nuovo», n. 14/15, 2004, giugno 2005 [ma maggio 2007], pp. 70, 82. Poi in Sereni e altri dintorni, Bohumil, op. cit. pp. 9-10, 22.

4 A controprova del sodalizio di cui riferivo, Ferruccio intese dedicarmi due suoi scritti: Postfazione a I rimanenti, Colpo d’occhio, Rimini 1990, f. c., pp. 35-37 e Gabriele: la penombra come costellazione in Al bar degli amori, ibid. 1995, pp. 15-18 (libriccino che conteneva di seguito anche L’ombra di me più triste, pp. 19-22, altra testimonianza del nostro comune amico Francesco Scarabicchi). Scritti di cui mi pregio, ma che qui, ovviamente, non ho motivo di riportare.

5 Dall’Intervista a Ferruccio Benzoni, «Libere carte», n. 1, luglio 1990; poi in Sereni e dintorni, Joker, Novi Ligure 2006, p. 24.

6 In I rimanenti, postfazione di Ferruccio Benzoni, Colpo d’occhio, Rimini 1990, f. c., p. 34.

7 In I rimanenti, edizione accresciuta, con una nota di Giovanni Raboni, peQuod, Ancona 2001, p. 26. Poi, intitolata A Benz, in Riunione di famiglia (1982-2012), con una nota di Jean Robaey, Interlinea, Novara 2012, p. 50.

8 In Sopralluoghi: Ferruccio Benzoni, in «Verso», n. 9/10, dicembre 1995, pp. 117-118. Poi in Sereni e dintorni, cit., p. 29.

9 Da L’odore del pane, in Fuoricorso, con una nota di Massimo Raffaeli, Colpo d’occhio, Rimini 1997, f. c., pp. 28-29.

10 In Finestre di via Paradiso, presentazione di Giampiero Neri, peQuod, Ancona 2008, pp. 25, 62. Poi in Riunione di famiglia, cit., pp. 120, 154.

11 In Nove prose + quindici, nota di Giampiero Neri, Colpo d’occhio, Rimini 2010, f.c., p. 32. Poi, senza titolo, in Case finali, nota introduttiva di Giampiero Neri, Interlinea, Novara 2016, p. 39.

12 In Case finali, op. cit., p. 81. La poesia di Benzoni è tratta da Numi di un lessico figliale, Marsilio 1995.

13 Inedito, 2017.

Gabriele Zani è nato nel 1959 a Cesena, dove risiede. Ha esordito in versi nel 1984 con la plaquette Monolocale, presentazione di Renato Turci, Maggioli, Rimini. Le varie pubblicazioni successive, in riviste e opuscoli fuori commercio, frutto di un’attività costante e appartata, sono confluite in I rimanenti (nota di Giovanni Raboni), peQuod, 2001, cui ha fatto seguito, Finestre di via Paradiso, presentazione di Giampiero Neri, peQuod, 2008. Nel 2006 e nel 2011 compaiono gli scritti critici e le interviste di Sereni e dintorni, Joker, e di Sereni e altri dintorni, Bohumil. Del 2012 è Riunione di famiglia (1982-2012), nota di Jean Robaey e antologia critica, Interlinea, volume che ripropone, oltre a una sezione inedita, le precedenti opere in versi e prosa. Del 2016, sempre per Interlinea, è Case finali, nota introduttiva di Giampiero Neri.

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