Alessandro Canzian – Condominio S.I.M.

a cura di Francesco Terracciano
di Mario Fresa

Alessandro Canzian, una delle voci più originali e riconoscibili della nostra poesia recente, ha pubblicato in questi mesi, presso Stampa2009 – nella prestigiosa collana curata da Maurizio Cucchi – un libro di misteriosa bellezza: Condominio S.I.M. È un mobile e singolare “romanzo” frammentato che mostra schegge, istanti, lacerti e ricordi di esistenze “normali” e abnormi allo stesso tempo. Un luogo sì naturale, ma anche labirintico e ossessivo, attraversato da lampi di oscurità intricata e di torbide e irresolute ambiguità. Il mondo poetico di Canzian potrebbe certo sembrare, a una prima lettura, quasi innocentemente limpido e “ospitale”, anche in virtù dell’equilibrato nitore e della sobria compostezza del suo tocco linguistico; ma le atmosfere delle sue vivaci e impazienti narrazioni si rivelano, a un’analisi non superficiale, costantemente sibilline ed elusive, perché mosse, senza requie, da imprevedute modulazioni di obliquità impure, caliginose.
All’improvviso, dunque, l’apparentemente placida e distesa scrittura s’increspa e si trasforma in un luogo inquieto e perturbante, cogliendo di sorpresa il lettore che ne resta sempre scosso e smarrito (se non addirittura turbato). La stessa realtà descritta appare incomprensibile e cangiante, come segnata da contorni evanescenti o da interne irrequietezze che mostrano inattesi bagliori di enigmatica trepidazione.


È una poesia che rilegge la realtà con misurata ma partecipe tensione emotiva, scoprendone le sotterranee devianze, il male, la durezza o la crudeltà profondamente incisi nella stessa natura delle cose o nei rapporti umani: «Aldo oggi l’ho visto strano. / forse ha cambiato donna / delle pulizie o si è innamorato / di un corpo giovane e facile, / uno di quelli che odorano / di sangue e poi ti dicono / “patti chiari e amicizia lunga”.» La narrazione si fa spesso ritrosa e reticente. Così, gli eventi accidentali del vivere quotidiano si mutano in misteriose occasioni di stupore e di sospensione, di ombrose scoperte e di inspiegabili trasalimenti: e il mondo scrutato appare, allora, luminosamente aperto e indecifrabile, “ordinario” e prodigioso a un tempo: «È bizzarra questa Giulia che / guardo ma non conosco. / Le calze scure, i tacchi / appena un poco alti e / i capelli arricciati come polvere. / Giulia oggi è un melograno». Una poesia che allarma e scuote, quella di Canzian, capace di ritrarre, come registra Maurizio Cucchi nella sua prefazione, «la normale quotidianità dell’esserci», compresi i suoi «piccoli orrori e le piccole aperture vitali», con una «limpida nettezza comunicativa» che rende, quasi, ancor più straniante e suggestivo il mosaico di figure e di vicende di questo poemario ossimoricamente onirico e concreto, realistico e immaginoso.


Non conosco la ragazza
di nome Olga, però la penso.
La pelle bianca come i capelli
di mio padre, il seno grande
– i tacchi ben calcati
la sera alla mia porta -, poi
l’altra notte l’ho sentita urlare
appesa alle mani di qualcuno.
 

*

Carlo so ha fatto un viaggio.
A Londra, o a Parigi, ha
fotografato salumi e donne
abbracciate alle vetrine, perché
gli uomini amano l’effimero,
ciò che esiste e poi scompare.
Non siamo fatti per restare.

*

È bizzarra questa Giulia che
guardo ma non conosco,
ascolto, ma non parliamo.
Le calze scure, i tacchi
appena un poco alti e
i capelli arricciati come polvere.
Giulia oggi è un melograno.

*

Alina veste spesso in nero
perché la fa sentire snella
e più serrati i fianchi. Ha
una bellezza contadina
di appena cinquant’anni ma
portati male, con fatica.
Un sorriso alla varechina.

*

Quando si è soli tutto è buono.
Anche la cinquantenne trovata
a ballare mezza nuda e che
non chiede niente. Non fa
differenza l’età, direbbe Aldo.
La solitudine non invecchia.
 

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