Città del testo #1 | Per una controstoria del testo

a cura di Riccardo Canaletti


In una dele ultime raccolte Leonardo Sinisgalli, definito un Leonardo del XX secolo, scrive:

Non tornare nei luoghi
dove sei nato, o irrompi
come un ladro
a rubare galline.

(da Più vicino ai morti, 1980)

La compressione testuale che in modo così irreversibile inquadra la questione è forse il risultato di una certa stanchezza, forse di un certo disincanto, quando tornerà nei luoghi natali che lui sempre considerò casa e si lascerà indietro i progetti rinascimentali alla Finmeccanica e alla Olivetti. Un uomo che è stato dietro alle macchine della pubblicità, e fieramente dietro ai macchinari della cultura, fossero riviste o libri di poesia, chiede cosa si possa fare tornando dove si era partiti.

La mano che cela la voce è il titolo che ho dato ad alcuni incontri nel contesto dell’attività di diffusione culturale Marginalia, del collettivo Zagreus. Il nome nasce da una chiacchierata con il poeta Filippo Davoli. Siamo in un bar, io gli faccio leggere qualcosa di mio, lui qualcosa di suo (di migliore). E chiedo dove risieda la differenza, cosa faccia quella differenza che a lui fa fare lo scatto, a me fa restare fermo. E dice: «I poeti devono nascondersi.»

Con quale autonomia un testo può viaggiare? Mi sono risposto che non esiste grado di autosufficienza per la poesia, essa non va da sola, non può, bensì porta con sé fantasmi. I fantasmi sono la voce celata dalla mano, il corpo come fondamento dell’esperienza che non ha massa negli spazi bianchi dei versi e nulla dovrebbe attrarre a sé. Ma c’è.

Una storia del testo arriva lì, dove noi leggiamo, nelle case, dove riposa il libro fisico. Compito di questa rubrica è di lavorare su ciò che ci siamo lasciate/i dietro. Ciò che è andato a nascondersi, fino all’origine. Quasi un’archeologia, ma più frammentaria. La controstoria è questa storia di fantasmi.

*

Queste ombre abitano una casa. Questa casa è in un quartiere con cui abbiamo condiviso la nostra infanzia. E la nostra infanzia già non può più dirsi solo nostra. L’infanzia di ogni persona è un affollamento. Anche i testi hanno i loro fantasmi. Noi siamo la loro casa, l’editore un quartiere, i lettori e le lettrici almeno un paese.

Questa rubrica si occuperà di questo paesaggio estetico e umano, della città del testo con tutti i suoi abiti, con le voci dai balconi dei lettori più affamati, con il bollito attento del poeta e della poetessa, il cui odore arriva alla bottega all’angolo, dove il testo viene assemblato e poi distribuito. È una città di editori, poetesse e poeti, lettrici e lettori, come si è detto. Una città che a volte, quando piove e le strade si allagano, si chiude in sé stessa, e pure darà vita a brevi riflessioni sul mondo, nella cornice della città poetica, come uno Zibaldone.

Ma quando torna il sole torna il protagonista, lo stratagemma dietro le quinte del Bello, tutto ciò che un verso nasconde, un nome, una sigla, una lettera firmata. Vita.

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