Giulio Maffii | RadioGrafie

cura e introduzione di Arianna Vartolo
su RadioGrafie (Il Convivio, 2022)


C’è del lutto il momento dei conti: il mettere in rassegna odori oggetti ricordi. È un entrare nelle cose nelle case ormai vuote, nelle stanze in punta di piedi e scavare con le unghie in un vissuto interrotto – rimasto così. Le RadioGrafie (Il Convivio Editore, 2022) di Giulio Maffii raccolgono lo sguardo chirurgico di chiunque tra noi veda il letto lasciato fatto, il cappotto nell’armadio, le foto impolverate sul mobile all’ingresso. L’autore costruisce una sorta di planimetria di questo “catasto d’amore” – generico affetto perso in una morte appena accennata. Il trapasso sentimentale si intuisce da un passaggio di ore (l’A.M della sezione inizialetanto vale ante meridiem quanto ante mortem; lo stesso con il successivo POST M.) come passo di qualcuno che si sposti tra le stanze di una casa. Casa che diviene appunto “un orologio” e scandisce il moto dell’osservazione come un dettato regolare, ma che sempre col dolore “fa un giro e torna al punto di partenza”. Il poeta ritma lo spazio e il tempo di questa rassegna luttuosa attraverso l’anafora costante e puntuale di un che insistente: la descrizione di oggetti del quotidiano come fossero il corredo funerario di una esistenza nulla. E se nulla è l’esistenza, così anche la morte si rende qui ipotetica e con lei un dio tutto minuscolo cui non si portano doni o offerte, ma giusto “quel niente che rimane”. Un dio – ancora – che quasi non esiste eppure si può dire si può nominare per Maffii tra le altre suppellettili di queste stanze narrative: si ridimensiona la vita e l’evento suo contrario, si ridistribuisce nello spazio poetico un dolore frammentato e riposto piegato nei cassetti insieme ai panni lasciati puliti e asciutti. Non si percepisce usura: il tessuto del testo si mantiene teso terso nitido in una visione cristallina, per quanto sommessa. Non si sposta il focus dal dire tipico del poeta, che porta in sé un bagaglio importante di autori tra i quali Caproni per l’uso minimale delle immagini e della lingua – quasi aforistico ed epigrafico; ma anche Montale e/o Eliot per il loro comun correlativo oggettivo che tanto in RadioGrafie torna a definire un sentire, un (ribadisco) generico affetto che si fa tanto ridotto da diventare “una stoviglia/ sporca da lavare”. La morte qui non è intesa (solo) del corpo: il poeta narra in una sorta di Spoon River domestica della reificazione un io alienato e sommerso da quella “roba” – poca – che è la vita; che si fa oggetto tra gli oggetti e racconta da sé il suo il loro consumo ultimo. Il loro decesso, per poi ricominciare da capo il giorno appresso.


che dare il cibo al gatto
è compito seriale

che il rovescio nudo delle scale
è punto di appoggio e di sutura

che le case emanano odore
di lampade votive

ti piovo ti spiovo e dopo di nuovo
muovo l’odore dentro lo specchio

*

che la consolazione non salva
il dolore da cose minime

che considera la casa un orologio
[la buccia di un atomo]
fa un giro e torna al punto di partenza

*

che sale un odore oltrepassa la finestra
si fa vestito radiografico dilaga

(tutti si ritrovano ad indossare
la faccia dell’errore o del catasto d’amore)

si riaprono gli armadi
si nascondono le mani

*

che ci siamo abituati a dire
storie dalla cucina

che non era stato vano guardare
la ciotola del sale

il pigmento di un cibo scaduto
un codice a barre impresso dentro
il cuore o là vicino

che ogni giorno metti gli scarti
nel contenitore giusto
e ancora resisti

*

che metastasi
-proprio il significato di riproduzione-
è l’arsenico in forma di parole
che sempre ci devasta

che il porto di Sami non è lontano
a chi può interessare adesso

che la vita è poca e dobbiamo
cercare un santo che funzioni

la vita è poca
la vita è poca roba davvero

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