Odisseas Elitis | Elegie

da Elegie (Crocetti, 1997)
traduzioni di Paola Maria Minucci


Intrepido, Fiducioso, Audace
 

Ora io guardo alla barca che arriverà sempre vuota
Ovunque tu salga; a un Cimitero lontano sul mare
Con Korai di pietra che stringono fiori in mano. Sarà notte e agosto
Quando cambiano la guardia le stelle. E le montagne leggere
Piene di vento buio sono appena sopra la linea dell’orizzonte
Intorno odore di erba bruciata. E una pena di ignota stirpe
Che dall’alto scende in un rivo sul mare addormentato
 
Risplende dentro di me tutto quel che ignoro. E tuttavia risplende
 
Ah bellezza anche se mai ti concedesti intera
Qualcosa sono riuscito a carpirti. Parlo di quel verde della pupilla che per la prima volta
Entra nell’amore e dell’oro che ovunque lo posi è fuoco di luglio.
Ritirate i remi voi usi ad una vita dura. Portami là dove vanno gli altri
Vassallo del cielo chiedo di tornare di nuovo là
Nei miei diritti. Lo dice anche il vento
Da piccolo lo stupore è fiore e quando cresce è morte
Ah bellezza tu mi consegnerai come Giuda
Sarà notte e agosto. enormi arpe si udranno di tanto in tanto e
Con il poco turchino della mia anima l’Oxo Petra comincerà
A emergere dal buio. Piccole dee , da sempre giovani
Frigie o Lidie con corone d’argento e ali verdi intorno a me si raduneranno cantando
Quando le pene di ognuno saranno scontate
Con colori di amari ciottoli: tanto
Con fibule di dolore tutti i tuoi amori: tanto
La torba della roccia e l’orrendo crepaccio del tuo sonno non recinto: due volte tanto
 
Finché una volta il fondo del mare con tutto il suo plancton invaso di luce
Si rovescerà sulla mia testa. E altre cose fino ad allora non svelate
Appariranno come viste attraverso la mia carne
Pesci dell’aria, capre dall’esile corpo erto contro le onde scampanio di
San Demetrio il Profumato
Mentre in fondo lontano continuerà a girare la terra con una barca nera perduta a largo e vuota.

Eros e Psiche

Mare nero impetuoso sbatte addosso
La vita degli altri. Qualunque cosa tu affermi nella notte
Dio la trasforma. Leggere vanno le case
Alcune arrivano con le luci accese
L’anima dei morti se ne va (dicono)
 
Ah chi sei tu che chiamano anima ma a cui né l’aria
Ha mai dato consistenza né mai corpo ti
Ha toccato al passaggio
Quale balsamo o quale veleno versi che
 
In tempi pasasti la gentile Diotima
Con canti selenti arrivò a mutare
La mente dell’uomo e il corso delle acque di Svevia*
Così chi si ama si scopre di qua e di là
 
Delle due stelle e di un solo destino
 
Ignara sembra essere la terra anche se
Non lo è. Sazia i diamanti e di carbone
Sa però parlare e là dove la verità approda
Con rimbombi sotterranei o sorgenti di grandi purezza
Viene a confermartelo. Chi? Cosa?
 
L’unica cosa che affermi e Dio non trasforma
Quel qualcosa d’imprecisato che nonostante tutto
Esiste dentro il Vano e il Nulla.
 
 * Perché la figlia di Giove lui
Lottava contro le Arpie
E con devozione firmava: Scardanelli.
 

Anteprima della morte (sogno)

Senza sosta più vicino senza sosta più in alto
Senza sosta la riva si allontana
Montagne grandi e piccole strette nel loro abbraccio
E un palmo di prato un palmo di mare
 
Ultime pattuglie di uccelli controllano i passaggi
Ribes luminosi e oscure alghe
Che quasi sfiorando passo
gettando a poco a poco la zavorra
 
Ed è tanto invisibile la musica
Felicità sedimentata dentro di me così
Che non provo né dolore né gioia ma
Benedetto dai baci che mi sono rimasti ancora addosso
Ancora più leggero salgo
Irrorato dell’oro celeste di Fra Angelico
 
E come dentro al buioi dell’acqua silenziosa
Passa una figura che colgono soltanto
Le vergini che ameranno
Così da un’immagine all’altra di terra trasfigurata
Appare
In profondità dentro il verde dell’aria
Come da tanta amarezza sia riuscita a estrarre un sorriso
E dal giaguaro del sole un uccellino
Che come diacono di sconosciuti luoghi marini
Di culto notte e giorno canta
 
Senza sosta più vicino senza sosta più in alto
Oltre le passioni oltre gli errori degli uomini
Ancora un po’ ancora un po’
Con tutti i suoni dell’amore pèronti a esplodere
L’arcipelago celeste:
 
Ecco Kimmoni! Ecco Lighinò!
Il Trienaki! L’Antìpnos! L’Alogàris!
La Evlopùssa! La Màissa!
Stupore odo viola e tutto diviene
Rosa sulla pelle soltanto piango il fruscio
Dell’aria: di nuovo mi è concesso
Di toccare una terra stupenda castana circondata dal mare
Come quella degli olivi di mia madre quando
Scende la sera e un odore
Di erba bruciata sale ma
Se ne vanno gridando con un po’
Di guscio d’ostrica nel becco i gabbiani
 
Sulla cima delle colline San Simeone
Un po’ più in alto le barche delle nubi
E ancor più in alto l’Arcangelo con il suo sguardo profondo tutto perdono.
 

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