Michela Zanarella | Recupero dell’essenziale

cura e introduzione di Antonio Merola
da Recupero dell’essenziale (Interno libri, 2022)


È una forma particolare di condivisione. Accade a certi lettori di mettersi a pedinare una poetica. Succede così: si segue nell’ombra un poeta, si raccolgono i libri che lascia sulla strada. Si collegano per farne una collana. Ogni collana è diversa dalle altre. Ogni collana si può indossare una volta sola. Questo è il bottino del pedinatore di poetiche, un bottino mutaforma. Ogni volta che il poeta lascia cadere sulla strada un libro, il pedinatore non può fare a meno di raccoglierlo, disfare la collana e aggiungere il nuovo libro accanto agli altri. Capita che leggendo un pedinatore sorrida. E pensi: questo è un pezzo perfetto per la collana.

Recupero dell’essenziale (Interno Libri Edizioni, 2022) di Michela Zanarella è uno spartiacque, che occupa il medaglione nella collana di carta che finora ho raccolto seguendola. Da anni, Zanarella lavora alla costruzione di un linguaggio tanto semplice – per alcuni troppo semplice che qui, per la prima volta, titola una dichiarazione di poetica. Una ricerca che si condensa. Una lingua che finalmente sa di essere posseduta. Ma che però non è meno esposta, perché essere problematica è una delle caratteristiche della semplicità. «Già, ma che cos’è l’essenziale? Come si mostra? A chi e per che cosa è essenziale?» si chiede Dante Maffia, che firma la prefazione. Si potrebbe obiettare con la lingua della volpe che: «L’essentiel est invisible pour les yeux» L’essenziale è invisibile agli occhi.

«Luce» «stelle» «sole» «estate» «autunno» «memoria» «notte» «buio». Sono le parole che fanno da costellazione a questo libro. Parole così semplici che osano ripetersi – alcune superano la decina di occorrenze. Si gioca con il poco che fa il mondo. Si cerca di «denudare il sangue alla luce». La ricerca di Zanarella ha il seme della congiunzione. Proviamo a fare un esperimento e a mettere uno accanto all’altro i titoli dei suoi ultimi libri: Le parole accanto (2017), L’istinto altrove (2019), La filosofia del sole (2020). Congiungendoli, prende forma una collana luminosa. Ma una luce, quando viene da una stella come il sole, è tanto semplice da non poter essere guardata. Così si ha bisogno di «Chiedere riparo alla notte». Recupero dell’essenziale però non ha mai nulla di ossimorico, perché «La notte ha una maternità luminosa». Immaginiamo allora le parole in apertura di paragrafo da «luce» a «buio» non come due poli, ma per ciò che sono: una costellazione che unisce i punti. Ecco dalla congiunzione una forma, una luce.

«È quasi sera qui a terra/ e il cielo si stupisce di come lo guardo». C’è in questa raccolta uno sparire dell’io, che si fa punto tra i punti. Link. La voce sa che «non è solo di chi capita il dolore». Che il canto è una forma di parcellizzazione per «imparare a considerare il cielo una cosa non troppo lontana/ fanno parte di noi il buio e le pozzanghere». Anna Santoliquido, che firma la postfazione, suggerisce che queste poesie «profumano di francescanesimo». Cercare di fare luce sulla semplicità non è per nulla una cosa semplice. Jack Kerouac scriveva che «One day I will find the right words, and they will be simple». Dire l’essenziale e impedire lo strabordare. La parola «silenzio», che prima ho taciuto, è una di quelle che accanto alla «luce» ha la maggior parte delle occorrenze, una parola che prende forma come quando «il silenzio s’aggira composto e posa il sole a terra/ tutte le albe in fila pronte a sbocciare». Che mutaforma intorno a uno stesso campo semantico: «avremmo voluto tacere più forte/ e affidare agli occhi i colloqui con la luce». È strano, ma è così: il silenzio è una parola che a un pedinatore spaventa. Che spaventa i poeti, come confessò una volta Francesco Tomada: «Per chi scrive accettare il proprio silenzio è la cosa più difficile». Che può essere una conquista. Recupero dell’essenziale è nella poetica di Zanarella un libro-traguardo. Una lingua che vorrebbe suonare «sillabe di luce senza voce».


Dobbiamo avere fiducia nel cielo
credere nel suo immenso lontano
aprirci un varco nella memoria delle stelle
e portare la radice della luce
là dove sembra tutto troppo sommerso.
Saper distinguere un riflesso ordinario
da un bagliore che sa osare l’orma della luna
e diventare alba
passando di lato alle metamorfosi della notte
non è cosa per chi ha sguardi rivolti unicamente al proprio tempo.
Il sole si fa guardare da chiunque
ma pochi sanno quanto buio ha dovuto attraversare
prima di splendere.

*

È quasi sera qui a terra
e il cielo si stupisce di come lo guardo
ma il mio è uno spingere vie di fuga
per stare come le rondini d’autunno.
Migro con gli occhi sotto il sole che scende
e faccio finta che sia ancora giorno.
Spero che faccia tardi la notte
perché ho bisogno di denudare il sangue alla luce
e ascoltare il tuo silenzio arrossire.

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