Ad alta voce #1 | Coupe du Monde du Poetry Slam 2022

a cura di Gloria Riggio


Balestrini, Logos, Maragoni

«La poesia è il giubileo delle energie vitali/ che dilagano sul pianeta avvelenato // La poesia è una roba che non ve l’immaginate nemmeno » scrive Nanni Balestrini in “La poesia fa male” e descrive esattamente ciò che in questi giorni possiede ipocentro sismico a Parigi, dove tra il 23 e il 29 maggio si terrà la XVI edizione della Coupe du Monde du Poetry Slam 2022 – la Coppa del mondo di Poesia performativa, dal vivo presso il Cirque Electrique di Parigi (Place du Maquis du Vercors).

Davvero la poesia dilaga in ogni lingua e in energia vitale sul pianeta avvelenato e diventa bonifica, apocalisse e insieme palingenesi. L’anno scorso per la prima volta l’Italia vinceva il Campionato Mondiale di Poetry Slam nella voce di Giuliano Logos, i cui versi – tutti alimentati alla sorgiva di un fuoco – si nutrono di sete e fanno del corpo una calligrafia, della voce un’eco che è insieme fiato e immagine vivida, calco che ancora abita l’aria attorno alle parole dopo il loro dirsi, attenuandosi senza spegnersi, flogisto d’intenti e di storie.

Lo leggiamo – e ascoltiamo nell’inedito “Federico”, attraverso cui traccia una parabola che dal primo aedo – passando per ogni giullare, bardo celtico, scaldo vichingo, trovatore del Medioevo francese e della scuola poetica siciliana – giunge sino al racconto di una storia in nuova e sempre uguale forma, come a dire non solo che gli uomini sono costitutivamente intessuti con la poesia ma anche che questa si manifesta in essi come un’esigenza che si è flessa alla storia e sin dentro ogni forma di essa, senza mai estinguersi.

Quest’anno a rappresentare l’Italia in Francia è il poeta e performer, campione italiano di poetry slam 2021-22, Lorenzo Maragoni, con il suo sguardo nudo sulle cose e sull’uomo, sorretto da una voce limpida e da una poesia che diventa colloquio con e oltre di sé sino all’altro, all’oltre, all’altrove. La poesia di Maragoni possiede la memoria del teatro e la rende reticolo solerte entro cui i versi si posano, è possibile sia in parte questo ad originarne l’intimità, la franchezza e a favorirne il processo identificativo quasi immediato. La poesia dell’autore – tutta cucita su un’ironia che non teme di cedere il passo all’accoglienza di un dolore che ne fa ritorno al respiro – è una lente sulla realtà che la mette a fuoco o ne indaga il senso procedendo per dettagli sino al disegno del cerchio che chiude tutta la vita nel suo orlo, ed è un orlo di parole.

Lo leggiamo e ascoltiamo nell’inedito “Preferisco Lamarque” ispirato a “Preferisco Szymborska” (Vivian Lamarque, Madre d’inverno, Mondadori, 2016) a sua volta ispirata alla lirica “Possibilità” della poeta polacca.

Giuliano Logos e Lorenzo Maragoni rappresentano parte della produzione costituente la traiettoria tracciata dal moto (fervidissimo) della poesia orale e performativa in Italia oggi, che da anni va incontro a una stagione di particolare fioritura. Perché? «forse perché la poesia fa bene/cambia il mondo/diverte //salva l’anima/mette in forma/illumina rilassa/apre orizzonti//chissà ognuno di voi ha certamente i suoi buoni motivi/se no non sarebbe qua». Nanni Balestrini salvandoci dall’imbarazzo delle domande scava sino al fondo della risposta in “Piccola lode al pubblico della poesia”, che riportiamo integralmente in chiusura d’articolo, se proprio ci andasse di chiederci perché ma soprattutto di scoprirlo.


Piccola lode al pubblico della poesia
di Nanni Balestrini

Eccoci qui ancora una volta
seduti di fronte al pubblico della poesia
che è seduto di fronte a noi minaccioso
ci guarda e aspetta la poesia

in verità il pubblico della poesia non è minaccioso
forse non è neanche tutto seduto
forse c’è anche qualcuno in piedi
perché sono venuti così entusiasti e numerosi

o forse ci sono un po’ di sedie vuote
ma quelli che sono venuti sono i migliori
hanno fatto questo grande sforzo proprio per noi
perchè poi mai dovrebbero minacciarci

il pubblico della poesia non minaccia proprio nessuno
è invece mite generoso attento
prudente interessato devoto
ingordo imaginifico un po’ inibito

pieno di buone intenzioni di falsi problemi
di cattive abitudini di pessime frequentazioni
di mamme aggressive di desideri irrealizzabili
di dubbie letture e di slanci profondi

non è assolutamente cretino non
è sordo indifferente malvagio non è
insensibile prevenuto senza scrupoli non è vile
opportunista pronto a vendersi al primo venuto

non è un pubblico tranquillo benpensante credulone
senza troppe pretese
che se ne lava le mani
e giudica frettolosamente

è invece un pubblico che persegue degusta apprezza
lento da scaldare ma che poi rende
come direbbe Pimenta
e soprattutto è un pubblico che ama

il pubblico della poesia è infinito vario inafferrabile
come le onde dell’oceano profondo
il pubblico della poesia è bello aitante avido temerario
guarda davanti a se impavido e intransigente

mi vede qui che gli leggo questa roba
e la prende per poesia
perché questo è il nostro patto segreto
e la cosa ci sta bene a tutti e due

come sempre io non ho niente da dirgli
come sempre il pubblico della poesia lo sa benissimo
ma se lo dice tra sè e sè e non a alta voce
non solo perché è cortese volonteroso bendisposto

e in fondo anche cauto ottimista trattabile
ma sopratutto perché ama
ama di un amore profondo sincero irresistibile
di un amore tenace esclusivo lacerante

chi
ama il pubblico della poesia
fingete di chiedere anche se lo sapete benissimo
ma state al gioco perché siete svegli e simpatici
il pubblico della poesia non ama mica me
questo lo sanno tutti lui ama qualcun altro
di cui io non sono che uno dei tanti valletti
diciamo messaggeri se proprio vogliamo farci belli

il pubblico della poesia ama lei
lei e
solo lei e
sempre lei

lei che è sempre così imprevedibile
lei che è sempre così impraticabile
lei che è sempre così imprendibile
lei che è sempre così implacabile

lei che attraversa sempre col rosso
lei che è contro l’ordine delle cose
lei che è sempre in ritardo
lei che non prende mai niente sul serio

lei che fa chiasso tutta la notte
lei che non rispetta mai niente
lei che litiga spesso e volentieri
lei che è sempre senza soldi

lei che parla quando bisogna tacere
e tace quando bisogna parlare
lei che fa tutto quello che non bisogna fare
e non fa tutto quello che bisogna fare

lei che si trova sempre così simpatica
lei che ama il casino per il casino
lei che si arrampica sugli specchi
lei che adora la fuga in avanti

lei che ha un nome finto
lei che è dolce come una ciambella
e feroce come un labirinto
lei che è la cosa più bella che ci sia

il pubblico della poesia ama lei
chi
bravi lei la poesia
e come potrebbe il pubblico della poesia non amarla

perché ama la poesia vi chiederete
forse perché la poesia fa bene
cambia il mondo
diverte

salva l’anima
mette in forma
illumina rilassa
apre orizzonti

chissà ognuno di voi ha certamente i suoi buoni motivi
se no non sarebbe qua
ma meglio non essere troppo curiosi dei fatti degli altri
se si vuole evitare che gli altri ficchino il naso nei nostri

sia dunque lode al pubblico della poesia
lode al suo giusto nobile grande amore per la poesia
nel cui riflesso noi pallidi e umili messaggeri
viviamo grati e benedicenti

SEGRETISSIMO 
DA NON RIVELARE 
ASSOLUTAMENTE MAI
AL PUBBLICO DELLA POESIA

il pubblico della poesia ama la poesia
perché vuole essere amato vuole essere amato
perché si ama profondamente e vuole essere rassicurato
del suo profondo amore per se stesso

per sua fortuna il pubblico della poesia
crede solo di ascoltare la poesia
perché se la ascoltasse veramente capirebbe
la disperata impossibilità e inutilità del suo amore

e si prenderebbe a schiaffi dalla mattina alla sera
brucerebbe tutti i libri sulle piazze
si butterebbe in un canale
o finirebbe i suoi tristi giorni in un convento

CONCLUSIONE
LA POESIA FA MALE
MA PER NOSTRA FORTUNA
NESSUNO CI VORRÀ CREDERE MAI

Federico
di Giuliano Logos

Il sole è un’incudine d’oro.
E tutto è schiacciato, trafitto. 
E al cantico fulvo dell’astro
Fa eco in cromatico giubilo
ogni chiesa ogni trazzéra minareto e terrazzo
nei toni del giallo del rosso e dell’indaco.

Esplodono aranceti e le palme 
ed i peschi e le mandorle 
al limitare del borgo, 
là, al di sotto 
delle montagne, coi colori del vivido caldo 
quasi di liquido magma
Nel limpido maggio 
Di calma
Del 1204

Palermo abbaglia
E splende di luce normanna
Di voce araba 
Del canto libero 
Del re bambino
Dal volto germanico
Dal verbo siculo 
E sangue vichingo
Che urla in strada 

Dimentico del papa
dei timori di Innocenzo III, 
della reggenza spaccata
Del mondo cattolico al centro:
Il tempo 
è un arco, e lui lo tende dilatandolo tra il canto di un imam, il bazar e un salmo 
con la grazia dello spazio che distanzia le ali del falco da caccia 

che ama.

la sua vita è in piazza. É nato in piazza 
e vive la gente in piazza 
come avrebbe voluto sua madre Costanza 
d’Altavilla, lontano dagli intrighi di Gualtier di Palearia 

Ma oltre Scilla 
il mondo attende ancora di vederne il valore, 
e la Germania, quasi in mano a Ottone,
di portare il blasone del suo colore e sentire risuonare in ogni androne il nome 
Hoenstaufen

E cinta la corona con quella di Aragona 
cambia dimora e parte 
verso il destino oltralpe 
Come faranno ancora per secoli i giovani di queste lande 

Non ha la discromia oculare di Alessandro il Grande 
Ma del Macedone ammira l’ambizione, 
Non ne cavalca lo stesso elefante di zanne d’Avorio 
Ma ne porta il medesimo ardore 
nell’occhio, un fuoco, come un incantatore 
d’innanzi al grimorio 
mentre in ginocchio il labbro dà uno schiocco secco
all’anello piscatorio e Onorio III
lo proclama 

Imperatore

È l’apoteosi della giustizia, la sublimazione del bello 
la sua corte è una corte dei miracoli
Dove tra lo Stupore del Mondo moderno 
si indagano i moti degli astri, 
e filosofi e scienziati e pensatori saraceni, ebraici, cattolici e arabi 
si scambiano calcoli e versi e indagini sull’ultimo scopo
Ospitando, tra i palazzi, maghi e matematici, 
da  Fibonacci a Michele Scoto.
La libertà di culto è d’uopo 
e la ricerca esplode a Napoli, 
dove è fondata la prima Universitas Studiorum
statale e laica occidentale 
perché all’Impero non possono mancare 
mai lingue affilate e fervide menti

È il 1224 
E intanto 
sette anni dopo il Constitutionum Regni
Siciliarum libri è redatto a Melfi: 
un codice legislativo e giudiziario 
che porta il Regno di Sicilia tra gli stati moderni
Di lì a poco 
si parificano sudditi di ogni credo davanti alle leggi, 
Si rendono partecipi anche le donne della successione ai feudi, 
Si libera il commercio abolendo dazi interni.

Gregorio IX è a pezzi. Quell’uomo non è un uomo, 
è un insulto al cristo, è un demone, un Omen 
un empio, un Mefisto da ardere.
Non si può nemmeno gioire del recupero delle Terre Sante 
perché l’Imperatore stesso le ha macchiate riconquistandole senza versare una sola goccia pagana di sangue, 
solo mediante trattati di pace.

Intanto versi poetici imbrattano le strade e
le sale sicule, campane, delle Puglie, 
echeggiano come campane e macchiano, 
infide, anime e tuniche alle corti del Puer Apuliae
che ignora così lievemente la scure delle sue due scomuniche 
e scrive versi d’amore

Scrive versi d’amore
L’imperatore
Scrive versi d’amore
Fonda scuole poetiche
Fonda scuole
L’imperatore
Pone le basi della lingua di Dante
Della lingua italiana
Delle vostre parole
L’imperatore
Scrive versi d’amore

E di falchi

che gli animi che ammira 
sono tutti affamati sono tutti affamati 
sono tutti affamati di voglia di vita 
e rifuggon Caronte
Sono tutti affamati, sono tutti affamati
sono tutti affamati, come i rapaci 
con cui dà la caccia con me alle lepri all’ombra dell’ottava torre di Castel del Monte.

La vita nel 1250 è piatta. 
Il mondo ha visto troppo, anche la fiamma 
del Sultano Battezzato traballa, 
quasi non è più un fuoco. 
L’amore per Bianca Lancia ancora lo anima, 
ma non mi porta più a caccia, 
Il suo trono è rotto
il suo tono si è fatto roco.

Sotto un fiore il mago Scoto 
aveva previsto
Sarebbe finito
E sotto lo stemma bardato e fiorito
in Puglia a Castel Fiorentino
Si è spento Federico

Il sole è un’incudine d’oro
E tutto è schiacciato e trafitto
Non scrive più versi d’amore
L’Imperatore che ho sempre servito
Il sole del mondo riposa
In un sarcofago rosso granito
nella Palermo gloriosa
che ama

di cui fu figlio
E che ancora 
splende di luce normanna
Di voce araba
Del canto libero
Del re bambino

Cantato 
da un falco
nel cielo limpido.

Preferisco Lamarque
di Lorenzo Maragoni

Preferisco le poesie con le rime
Preferisco le poesie con i versi
Preferisco i miei poeti preferiti
Che poi sono sempre gli stessi
Preferisco non darmi divieti e soltanto permessi se solo potessi

Preferisco la danza al cammino
Preferisco l’erba del vicino
Preferisco a tutti i baci che ho dato
Quello che dovrò ancora dare
Preferisco il rumore del procrastinare

Preferisco gianni rodari gli anni pari sentire il vento sbagliare un accento
La vertigine del firmamento
Preferisco quando sono contento per avere scritto una nuova poesia
Preferisco i giorni in cui credo davvero che esista la meritocrazia
Prima di ricordarmi che pure questa è un maledetto privilegio di classe
Preferisco alzare il volume, provare ad andare a sfondare le casse

Preferisco le poesie italiane quando sono cover di poesie polacche
Preferisco essere libero senza un soldo nelle tasche
No non è vero preferisco i soldi
È per questo che faccio il poeta
Per vivere nel lusso sfrenato con ventagli d’oro e vestaglie di seta

Preferisco l’innovazione
Non è vero la tradizione
Preferisco la libera interpretazione personale
Non è vero la traduzione letterale

Preferisco i poeti famosi prima che fossero poeti famosi
Che un giorno diremo un giorno li abbiamo visti in quei locali fumosi
Ai tempi in cui si poteva stare ancora seduti vicini
Preferisco le poesie gridate in piazza appese sui muri lette stesi sopra i sampietrini

Preferisco chi si crede pasolini a pasolini
Preferisco petrolini a pasolini
Preferisco chi non sa chi è petrolini a petrolini
Preferisco i sassolini ai sampietrini

E lo so parlo sporco parlo a strappi
Non ho mai imparato la dizione
scrivo solo poesie su poesie
Sperando che una diventi una canzone

E lo so parlo storto parlo a sprazzi
Non ho mai imparato la lezione
Non ho mai passato la preselezione

Non mi sono mai iscritto a un concorso perché non so neanche a un concorso di cosa
Scrivo solo poesie su poesie
Sperando che una diventi qualcosa

E lo so parlo a cazzo di cane
Chi non segue può avere il rimborso del biglietto
E tornarsene a casa incazzato dicendo però non me l’avevano detto e andare a letto

Ma domani davanti al computer
Alla decima ora di lavoro scazzato
Quando il tempo va lento come il caricamento
Di un sito al momento sbagliato
E uno ha il timore di avere sbagliato qualcosa in questa vita delirio
Che è la vita che tutti viviamo
Alzerà lo sguardo al cielo in fiamme fuori dal settimo piano
E si ricorderà una parola
Detta male detta storta detta a cazzo di cane
Si ricorderà di questa poesia che sarà la sua preferita

Per alcune settimane

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