Fabio Barone | Il giuramento sulla città

cura e introduzione di Riccardo Canaletti
da Il giuramento sulla città (Capire, 2021)
in copertina Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, olio su tela, 199,5 x 301 cm. New York, Museom of Modern Art (MoMa)


La poesia di Fabio Barone non è mai mortificante. Nell’opera Il giuramento sulla città (Capire edizioni, 2021, Premio Camaiore “Proposte” 2022). L’adozione di un punto di vista situato nella quotidianità – tratto che caratterizza molti autori (ma mai abbastanza) – gli permette di toccare con pulizia di spirito (e quindi attraverso una voce moderata) gli oggetti e l’esperienza consueti, in un abbraccio tra il poeta e la realtà che è sempre mediato da uno sguardo lasciato a esprimersi in purezza, senza sovrastrutture.

L’opera si costruisce intorno ad alcuni atmosfere elettriche e paesane, una paninoteca, dei lampioni accesi di notte, in una cornice fatta di riflessioni faccia a faccia con il proprio posto del mondo. Non è un libro di ricerca, di domande, quanto un libro di affermazione, di identità. Un libro che coinvolge un panorama emotivo mai tradito, in cui l’autore si riconosce a pieno.

L’opera risulta riuscita e racchiude un gruppo di testi amalgamati tra loro. Il giuramento sulla città è un libro compatto ma non claustrofobico, una raccolta ponderata, ariosa, che ti permette di sostare per un paio di giornate nel mondo di un poeta che, probabilmente sulla scorta delle sue letture, è stato in grado di raffigurare in un quadro coerente la sua vita, senza -ismi di sorta, evitando lo stillicidio di alcune proposte di questi anni, opere accattone allineate su tre o quattro direttive “popolari” tra i lettori duri di poesia: sperimentalismo fino a se stesso, complessità lessicale fuori luogo, astrattezza quasi totale, costante manifestazione della propria opposizione alla lirica. Barone, al contrario, fa cantare i suoi testi, e per questo lo ringrazio.


Quando a Pescara la sera si staglia
come una navata nell’arco degli occhi,
una mano ferma sulla tua guancia
al tavolo della cucina dà un avviso
ai lampioni di sollevarsi per le strade,
il rumore del traffico assopisce mentre
alla stanza fa posto un dilagato eco
di silenzi stretti alle braccia. “Amami”
allora dici, come fossi appena nata.

Malinconia

Ascolta il silenzio muoversi fra le
vie, inciampa sui tetti delle case
nell’andamento del treno, vedi

com’è mancato il tempo in questa
domenica di vago sentore d’api,
non c’è guerra nel cielo aperto

il volto si serra a seguire l’appenino
dei piedi, è un evento ascoltare
puntuale il rintocco delle campane.

Vecchia in gelateria

Attendeva seduta in gelateria
come chi sembra aver già vissuto
e aspetta impaziente che un velo
di lino nero offuschi l’affiorare
di quelle immagini, troppo forti per lei
che più non osa, non sa, perché dalla
pelle su di sé raccolta si trascina
come bendata. E abbandonarsi
non ha più la sensazione di essere
in un vortice, ma quella di chi guarda
gli altri e mentre lo fa pensa, posata
come un ricordo in una fotografia.

Rispondi