Franca Mancinelli | Tutti gli occhi che ho aperto

cura e introduzione di Lorenzo Pataro
da Tutti gli occhi che ho aperto (marcos y marcos, 2020)
fotografia di Dino Ignani


Ci sono voci come quella di Franca Mancinelli, nella poesia contemporanea italiana, che hanno fatto della lingua una miniera-porto da cui da un lato attingere la materia prima e dall’altro far brillare il metallo prezioso come approdo, in un lavoro certosino di intaglio e di lima, di fusione e intarsio, per arrivare al gioiello, alla buona fattura. Nel suo ultimo lavoro del 2020 colpisce in particolare l’aderenza piena ad un sentire creaturale con un mondo in cui farsi mondo: ogni ente del reale diventa nel suo sguardo spirito non mediato, il suo occhio si apre al dire delle cose che non hanno voce, apre fenditure e spiragli e lo fa senza filtri. Il corpo diventa metamorfo nel giro di pochi versi, brevi tagli, poche lame in cui avvengono cortocircuiti illogici. Sono versi acuminati, versi-spine, in cui il dettato porta sulla scena, spesso cinematograficamente, un paesaggio spesso ancestrale, ai primordi, in cui il linguaggio sembra preverbale, un paesaggio in cui lo sguardo del poeta non si limita a interpretare, generare figurazioni, analogie, ma è esso stesso terra, acqua, fuoco, aria. L’originalità di questi versi è anche in un sentimento quasi di pietas che tutto abbraccia, senza confini, in cui ogni lingua è accolta nella sua matrice più antica e più vera; una lingua capace di tradurre anche l’intraducibile, che ha custodi in ogni dove, che si muove per frammenti il cui mosaico è sempre rimescolato, torna e ritorna, è una spirale (come quelle che accompagnano il testo). Lo sguardo cura e ha cura, è uno sguardo di piccoli fermo-immagini, dove tutto avviene nel giro di poche cesure; è uno sguardo-cesoia, in cui anche lo scarto si evidenzia nei silenzi e nella disposizione stessa dei testi; è uno sguardo di minime cose, minime ali, minimi fruscii, uno sguardo migrante, di vedute circolari e di panoramiche cosmiche, in cui l’infinitamente piccolo può stare accanto all’infinitamente grande. Questo libro contiene una poesia-millepiedi, in cui ogni vibrazione risuona più volte all’interno dello stesso corpo, una poesia che cammina ed è camminata a sua volta, in cui il movimento verso l’altro non è semplicemente un tendere la mano, ma quasi sempre un transfert, un passaggio preciso che presuppone una traccia visibile, verso l’altro. Anche l’attenzione alla natura e in qualche modo l’aura panica che connota questa poesia non sono fini a loro stesse, si ha a che fare con il sentire spontaneo di chi ha realizzato una comunione effettiva, uno spezzare il pane e nel gesto che dona tutta la grazia del darsi come corpo vivo, vero, commestibile. La voce di Franca Mancinelli è profondamente intrisa di un’etica del bene, una fratellanza con il mondo visibile e invisibile: è una poesia-dono che offre la sua visione senza chiedere niente in cambio, che chiede di entrare per brevi fratture, piccoli terremoti, minimi smottamenti e che genera allo stesso tempo enormi cerchi nell’acqua, udibili a lunga distanza. Sono versi gettati tra un buio e un altro, bagliori improvvisi, ponti senza appigli che chiedono soltanto di essere attraversati avendo fiducia, facendosi cullare dalla corrente, lasciando tutto fluire; versi che invitano a farsi creatura universale, senza passaporti o carte d’identità, da recitare come preghiere alle frontiere del mondo e del cosmo, riconoscendoci non più umani, vegetali, animali, ma solo enti figli di un unico respiro in balìa di un mistero senza nome.




sono le perle del tempo, le morti
le attraversiamo come un filo


*

da qui partivano vie
respirando crescevo

nel crollo, qualcosa di dolce
un incavo del tempo

tutti gli occhi che ho aperto
sono i rami che ho perso.


*

tiene un ago tra le labbra
si ricuce masticando
con un filo di lacrime e saliva
punto croce, punto
perché il disegno avanzi, deglutire.

*

l’infinito dei morti
espande un’altra galassia.
Il rosso nel buio continua
a sfociare nel mare
dove siamo senza corpo accucciati.


*

tutti nella stiva premendo
per un’altra vita l’aria
come una madre manca.
Lotta di gambe e di braccia
-non svuoteranno il mare.
Richiusa in bara la barca discende.

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