a cura di Giovanna Frene
da Gli attimi attigui (Digressioni, 2022)
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
n°53
dal Prologo
Il come
La morte inizia quando sembra necessario
passare dalla fantasmagoria all’allucinazione.
È il tempo in cui lo sguardo volge indietro
la vita si fa antologia e tutto è residuo
della propria assoluzione.
La lingua ci viene dietro, si sforza
di pareggiare il vero con gli oroscopi
a forza di elisioni e apocopi.
Ma il futuro si schermisce
ci cade addosso, esausto,
reclama a viva voce tutto il bene
che gli abbiamo tolto.
da Attese
III
Adesso che non sono tuo padre
capisco il nome che porto
più di tanti anni fa.
Stiamo ciascuno nei propri salmi
mettiamo in fila le cose da dire
per chi non ha voce
nelle navate, nei magisteri,
più ancora
nelle tele agli angoli del granaio
ricchissimo di zampe e squittii
e tutoli già ambigui
e forme macinate
e parole deformate
dove noi raccoglievamo
tra il tanto
foto e ritagli di giornale
rimagli di un sogno vaghissimo di celebrità
che ora si affretta
un giorno via l’altro
ed è la tua faccia buia,
cui mai avrò sorriso.
VII
Tu accennavi al cuore
io sentivo un infinitissimo rumore oltre il muro di casa
oltre i nostri trascorsi campi dove lame scontavano a crepe la terra, ora secca, ora profonda, nei pressi di dio.
da Ripari
IV
Era d’autunno avanzato.
La terra fumigava,
sottilissimamente
eppure a stento distinguevo le forme rischiarate delle cose.
Ancora un’involuzione di parole, la nostra,
che si perdevano attorno
nella sconfinata pianura e grigia mai dimentica di indurire gli occhi: così soliti a volgersi i miei
i tuoi a travolgere.
dall’Epilogo
I
E pure, lì vicino,
c’è chi corre e respira
l’aria che pesa di morte
ignaro lui come noi
della sorte che attende
del destino che attira.
Una infamia la nostra, una resa noi avviluppati nell’aria
che attorno pesa di morte.
Una finestra null’altro
gli occhi che da fuori sbirciano
la casa deserta, essere gli umani che c’erano essere il tuo discorso d’addio il mio di scuse il tuo discorso d’addio essere gli occhi che da fuori indagano la casa disabitata
nelle stanze le ombre gli odori
degli umani che mancano.
Provare a essere
quegli occhi che ora da dentro
a fuori si indignano per le rovine i resti nel giardino abbandonato i resti nel giardino abbandonati. Dimenticarsi in quei resti i souvenir
delle felicità passate, che dicono niente agli occhi curiosi della casa gli occhi che valutano la casa
essere il codice ignoto che direbbe