a cura di Giovanna Frene
introduzione e traduzioni di Andrea Franzoni
da Voci. Con una lettera di Alejandra Pizarnik (Argolibri, 2023), uscito il 31 marzo
per la collana Talee, diretta da Andrea Franzoni e Fabio Orecchini
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
n°57
Appena una parola (la traduzione come economia del dono)
Qual è il potere dell’inspiegato.
Anne Carson
Chi traduce porta con sé il silenzio respirabile della parola. Tradurre, in certi casi, significa trasmettere la responsabilità del silenzio da cui si è originato l’originale, trasmettere la responsabilità, non il senso, perché il senso, in quanto direzione, è un evento che esonda dal particolare punto di vista del traduttore. Un buon traduttore, porta al lettore quel silenzio che il lettore stesso riempirà con i suoi significati attuali. Così spero di essere riuscito a fare, con questa parola poetica, che è appena una parola, e che appena diventa una parola scompare. La lingua di Porchia si forma su una semplicità tattile, quasi orale, oralità densa di delicatezza filosofica e poetica. Quella delicatezza di mano che taglia una rosa, o che si china e stacca fiori di campo. “El amor, cuando cabe todo en una flor, es infinito”: non si tratta di poesia, eppur la tentazione è grande, la tentazione di tradurre: “Infinito è l’amore, quando entra tutto in un fiore.” Non si tratta neppure di filosofia: il verbo essere incarna il momento in cui è nella frase, e finita la frase non è più. È infinito lo spazio fisico dell’amore dentro un fiore. “Il dolore è servo dell’intuizione”, scrive un mistico persiano del ‘300 (L’amore è uno straniero, Rumi). E l’intuizione è la lingua che ho scelto tradurre, al di là dello spagnolo, dell’italiano, della poesia, e di tutte le altre lingue che in nuce si potranno scorgere, e che si presteranno di certo ad altre traduzioni. Rompicapi a volte, fondati sul rapporto tra i termini nel vicolo senza uscita di queste Voci. “Triste sei meno triste. Resta triste.”: staccarsi da una sensazione la modifica, rende la sofferenza necessaria una sofferenza innecessaria. Si è meno tristi a essere tristi, che a essere tristi senza “essere” tristi (di nuovo è il verbo “essere” ad agire): ovvero a rappresentarsi in quanto tristi. La parola in quanto rappresentazione, è ciò che parla in queste voci. Come una mise en abĩme ma senza che si veda, come in narrativa, lo spazio nello spazio, quanto piuttosto, due specchi fusi in uno solo: l’infinito è contenuto nella forma finita. Della fusione tra i due specchi sono testimonianza alcune opacità, screpolature, ossidazioni, riflessi: si tratta delle virgole, dei “quasi”, degli “appena”, delle congiunzioni ad incipit di una frase, della ripetizione dell’inizio nella fine di una voce, ripetizione che obbliga la fine del respiro a ricominciare. Tutto si regge su questi elementi minimi. “Ciò che non ritorna non ritorna mai del tutto, anche quando ritorna del tutto”. Anne Carson, in un saggio, l’ha definita come Economia dell’imperduto (Utopia ed., 2020) – ad esso voglio rinviare il lettore che avrà voglia di approfondire. Ciò che resta anche se non resta, è propriamente “la voce”, motivo per cui Porchia ebbe a chiamarle così, rifiutando nettamente l’appellativo di aforismi, o di poesie. A chi gli chiese il motivo per cui l’avesse chiamate Voci, l’autore rispose: «È difficile dirlo. Tutto si ascolta. E si ascolta di tutto». C’è un non detto che non si perde. E chi lo sente lo sa, quanto valga la pena pensarlo, attuarlo, scriverlo, ricopiarlo, tradurlo, e persino tacerlo. Come dono che generi generosità.
Andrea Franzoni
Situato in una qualche nebulosa lontana, faccio quel che faccio affinché l’equilibrio universale di cui sono parte non perda l’equilibrio. Situado en alguna nebulosa lejana hago lo que hago, para que el universal equilibrio del que soy parte no pierda el equilibrio. * La verità ha pochissimi amici e quei pochissimi amici che ha sono suicidi. La verdad tiene muy poco amigos y los muy poco amigos que tiene son suicidas. * Vorrei essere parte di qualcosa, per non essere parte di tutto. Quería estar en algo para no estar en todo. * Chi non riempie il suo mondo di fantasmi, rimane solo. Quien no llena su mundo de fantasmas, se queda solo * Il fiore che hai in mano è nato oggi e ha già la tua età. La flor que tienes en tus manos ha nacido hoy y ya tiene tu edad. * Sono arrivato a un passo da tutto. E qui mi fermo, lontano da tutto, di un passo. He llegado a un paso de todo. Y aquí me quedo, lejos de todo, un paso. * Al mio silenzio manca solo la mia voce. En mi silencio sólo falta mi voz. * Ferire il cuore è crearlo. Herir al corazón, es crearlo. * Ho cominciato la mia commedia essendo io il suo unico attore e la finisco essendo io il suo unico spettatore. Comencé mi comedia siendo yo su único actor y la termino siendo yo su único espectador.
Antonio Porchia. Borges lo paragonò a Novalis e Rochefoucauld, Deleuze in Logica del senso lo definì un “umorista dolente”, Breton ne parlò come uno dei pensatori più geniali e illuminanti in lingua spagnola, fu apprezzato da numerosi poeti e scrittori, tra cui A.Pizarnik, R.Queneau e H. Miller, che inserirono il suo Voci tra i cento libri di una loro biblioteca ideale. Nato a Conflenti (Catanzaro), nel 1885 emigrò con i genitori in Argentina, a Boca, uno dei quartieri più poveri di Buenos Aires, città dove vivrà per il resto della sua vita. Fu carpentiere, intrecciatore di ceste, puntatore nel porto, tipografo, fu silenzioso e raccolto, anarchico e socialista, giardiniere eremita, “mistico indipendente”. Si occupò per tutta la sua vita della scrittura e riscrittura delle sue «voci», circa seicento, raccolte in due volumi, e molte altre sparse e perse. Egli stesso le definì come “quasi una biografia, che è quasi di tutti”. Sottile, pungente e delicato al pari di Cioran, Porchia pubblicò Voces nel 1943 a proprie spese, ma non riuscendo a farlo conoscere, preferì donare le copie alla Cooperativa delle biblioteche popolari. Fu così che lentamente cominciò a circolare tra le persone, fino a giungere a Roger Caillois, che lo tradusse e pubblicò nella Parigi degli anni ’50 (“Io scambierei per queste tue Voci tutto quello che ho scritto”, così Caillois a Porchia), dove sin da subito divenne un testo di culto. Morì nel 1968, a seguito di una caduta, potando un ramo nel suo giardino.