Fine Pasto | Marzo ’23

cura e introduzione di Michele Piramide e Stefano Tarquini
da Read(y) in onda per Radio Kaos Italy


Milk

Ho scordato parzialmente il latte
accanto al profumo scremato per ambienti
 perché ricordava te.
Ho scordato il latte tiepido
sul nostro comodino senza segreti
per dipingere cose che non hanno nome.
Ho scordato il latte di controra
come sonno di punch all’arancia,
che tutte le volte ho pagato io.
Addormentati,
berrò dal tuo corpo mancino,
la mia unica strada,
camminando.

Sperimentando nuovi indefiniti percorsi del verso e cercando nel “confronto” la via che ci conduca a nuovi orizzonti poetici, decidiamo di proporre un elaborato condiviso. Un tentativo di ricerca di nuove sensazione empiriche che trascendano nella scrittura materiale, ancorandosi alla realtà per vincerne i confini. Una nuova direzione che ricerchiamo anche nei nostri interlocutori e dunque ecco i riscontri di Read(Y) che abbiamo selezionato tra i “Contributi Esterni” della nostra trasmissione.


Elisa Longo si definisce una donna cresciuta in sella a una mula. È un’autrice impegnata nel sociale per la parità di genere. Ha pubblicato libri di poesie e racconti. Il contemporaneo incatenato nei versi, una carezza che scruta il quotidiano e ci lascia in uno stato di estasi e frenesia vicina all’eccitazione. La sua è una penna atta a ridimensionare l’umano spostando la visione antropocentrica e scandagliare le emozioni più contrastanti che ci abitano trasformandole in suono e verso.

Facciamo che vivremo di bellezza

Facciamo che vivremo di bellezza,
con le orecchie tese al canto delle cicale,
con gli occhi nel fiore di magnolia.	
Facciamo che vivremo stravolti,
con l’acido lattico che brucia le gambe 
dopo una lunga corsa in salita,
infradiciati di sudore,
in viso rossi, come due pomodori maturi.

Torniamo a casa e cominciamo la festa
con le mani sul tavolo, con le mappe stese,
sdraiate e pronte per il prossimo viaggio.
Facciamo che impariamo un gioco nuovo,
dove non si perde di vista nessuno,
dove si programma il domani.
E ci guarderemo a tavola 
e sarà sera intorno a noi,
gli altri, di ritorno sui mezzi affollati,
con i piedi fermi ai semafori rossi.
Noi, facciamo che è sempre una mattina di sole:
lo zaino stracolmo,
gli scarponi impolverati,
la borraccia che perde.

Khan Klynski all’anagrafe Michelangelo Giuffrida; ritrova negli ultimi anni l’amore per il colore, parola e fotografia analogica. L’astratto è nella sua poetica uno spazio inesplorato dove potersi liberare e rivisitare la realtà senza più filtri, vissuto in sintonia nell’uso e abuso delle parole. Il vissuto percepito come casa e sentiero di un quotidiano doloroso e deformante, passando dallo scritto poetico a racconti innescati da flusso di coscienza. Un rifiuto della punteggiatura poi ridimensionato all’essenziale; una ricerca linguistica che lascia atterriti e al contempo estatici.

Noi ti dico di noi come una colla 
a caduta libera in direzione mancata, 
obbligati per quanto siamo stati 
e siamo stati sempre scoglio 
deviazione e penitenza, sole e solo sole 
per pochi spicchi di sogno in tasca
qui dove si ferma il loro cielo a pensare 
d'ognuno nell'intento che più cede,
credersi mare e non della terra,
al vostro margine strapparci cornici
dal voi, dall'ora, dai giuramenti
su vecchi libri dimenticati in vita,
poche sveltine, appelli dell'ultimo
singhiozzo, bussole di poco respiro 
e sigilli lisci bramati a brandelli 
o stelle assicurate ad altro bordo.

Claudia Arianna Greco, scrittrice che ha scelto abitare a suo dire di abitare in un posto dove casa confina col mondo e la porta socchiusa lascia spazio a parole e scambi umani. La sua è una ricerca che guarda all’oralità della poesia, ritrovando nel verso la sua funzione archetipa di connessione della contemporaneità con la profondità inesplorata del nostro io. La sua poesia come esercizio di immedesimazione nel vissuto, un verso che resta sulla sua pelle come una cicatrice e ci lascia spettatori di una parola che ritorna lingua madre.

Adagio

È presto per abbassare gli occhi
Giacere nell'erba alta
Lo so che il sole picchia forte
Quest'oggi
Ed hai solo bisogno di una luce 
Che non del tutto rischiara la fronte
La tua voce 
Che fa malinconia nelle notti
Nelle note più audaci
Di chi sa vedere oltre e non lo dice.
Tacere.
E simulare dolcemente 
La siepe che resta vigile
Apparentemente
Inerme
E si perde tra gli anarchici fili d'erba 
Fili spinati
Capelli castano scuro
Ramati
Sulla tua pelle
Sudata

Al sole
La schiena
Fa scudo
Dentro le parole
Chiuse nel costato
Costano fatica
E sorseggiare
Prima di invertire la rotta
Il significato di una poesia
Che perde speranza
Fa tic tac
Come una bomba
E implode
Nella tua bocca

Adagio
Il mio cuore va adagio
Non so dove vado
Adagio
E questo è il mio respiro.

Alessandro Fusto, un studioso dell’immagine e della sua evoluzione. Regista già premiato a Cannes, musicista e compositore. La sua poetica digerisce il verso dopo averlo inghiottito e fagocitato nella coltre nebulosa del nostro vissuto, rievoca suoni ed immagini dal contrasto distopico. Facile perdersi nei suoi elaborati, ma Fusto con uno sguardo limpido non sottrare alla parola, anzi la rinnova e rigenera in uno rinnovato circolo nietzschiano.

Perché quando, rivolta alla finestra, mi dici “hai dimenticato di nuovo il giorno del mio compleanno” e sputi bile e i rampicanti che crescono sulle pareti concentrano l’oscurità in buio.

Perché ti fisso a piombo e ti circondo con pareti di pensiero che soffoca, stalattiti che dispensano gocce di delusione.

Perché io non so misurare gli anni, le stagioni, i solstizi o gli equinozi.
Conosco la cadenza forzata del mercato rionale in piazza nuova, il rumore del vetro prelevato all’alba e i sacchi di organico che porto fuori a notte fonda.

Perché viviamo giorni di naftalina, arresi a un volo parabolico che tende a zero.

Perché ti rispondo con rabbia che siamo abitati da menti matematiche.
Ed è solo questione di proporzioni se il tempo accelera nel tempo.
Ogni anno che passa è uno fratto età e vale meno del precedente.

Perché allora dalla finestra sposti gli occhi di umore vitreo verso i miei di plastica.
Ti arrendi e saluti senza sorridere.

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