Per tutte noi. La parola poetica delle donne

a cura di Giovanna Frene
da Per tutte noi. La parola poetica delle donne (Le Lettere, 2023)
prefazione di Maria Borio
n.d.r. I versi di Eavand Bolan sono tratti da Le Storiche, 2021, nella traduzione di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti; quelli di Karin Boye da Poesie. Testo svedese a fronte, 2018, traduzione di Daniela Marcheschi; quelli di Diane Di Prima da Poesie. Testo svedese a fronte, 2018, traduzione di Daniela Marcheschi; i versi di Carol Ann Duffy da La moglie del mondo, 2002, traduzione di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti; quelli di Margherita Guidacci da Paglia e polvere, 1961


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

n°62


Dopo quello che può essere considerato il capostipite delle antologie che in Italia hanno rivoluzionato la percezione critica della scrittura femminile, Donne in poesia di Biancamaria Frabotta (1976), dove il soggetto-donna viene svincolato da una claustrofobica connotazione sessuale per affermare il suo reale ruolo storico, oggi una nuova proposta antologica ha a che fare con due problemi. Può esistere un “neutro” in letteratura che corrisponde all’identità universale di “poeta”, con una dimensione e un ruolo diversi per la specificità biologica? In secondo luogo: dopo gli anni in cui la scrittura delle donne si dichiarava soprattutto femminista, il rapporto con il potere e l’immaginario letterario hanno raggiunto un sano equilibrio tra le opere di autrici e di autori? Alla prima domanda mi sentirei di rispondere che – nonostante dal punto di vista dell’autorialità sia legittimo trascendere la differenza tra donna e uomo in una più ampia idea di “persona” – la forza di un’opera è anche legata all’essere fedeli alla propria natura. Da quest’ultima si può imparare molto e la natura femminile è un osservatorio ricco, tanto più perché si è svincolata – almeno in un contesto occidentale medio – dalle ataviche gabbie patriarcali che ancora facevano dire ad Adorno e Horkheimer nel- la Dialettica dell’illuminismo: «la donna come preteso essere naturale è il prodotto della storia che la snatura», dunque la natura condiziona l’essere femminile e lo penalizza. Nel genere umano la sostanza femminile si compenetra con quella maschile. E chi scrive è sempre alimentato anche da una propria sostanza genetica. Tuttavia, se proviamo a riflettere sui rapporti tra la scrittura delle donne e il potere, possiamo dire che i piatti della bilancia siano equi? Ogni autore ha il mantello di una tradizione millenaria sotto cui può ripararsi, un bagaglio di letteratura sul quale anche ogni autrice si è formata. Un’autrice può dire di avere delle maestre solo pensando a tempi relativamente recenti, ma se scava indietro nei secoli le è dato di amare personaggi femminili, non scrittrici. Ogni donna coltiva silenziosamente un lunghissimo passato, attraversa il presente come una cometa che brucia nell’atmosfera e si proietta al futuro. Il tempo della parola poetica delle donne è un laccio di fionda.

dalla Prefazione di Maria Borio


Questa raccolta di poesia non rientra nel canone dell’antologia, non è stato stabilito nessun criterio di valore che possa aver preferito alcune autrici ad altre né abbiamo voluto pubblicare questa selezione poggiandoci su canoni di merito storico critici o temporali.
Per tutte noi è una selezione di catalogo, una scelta di campo nel riproporre alcune voci che abbiamo pubblicato negli ultimi anni. Estremamente differenti tra di loro e al contempo accomunate da un desiderio di lotta verso la piena aderenza di sé, ciascuna declinata in un moto unico e indipendente.

nota dell’editore


Eavand Bolan
(1944-2020)

Le storiche

Di’ la parola storia: vedo
tua madre, e la mia.
La luce sobria, l’estate finita da un pezzo,
un vento da est culla le foglie, la pioggia s’agita negli scoli. 
Hanno le mani piene di parole.
Una di loro tiene il diario di tuo padre con l’appunto 
scritto il giorno della tua nascita.
L’altra ha i miei scarabocchi in rima, le mie ferventi lettere. 
Prima che la poesia finisca
avranno bruciato tutto. 

Ora ripeti la parola. Evoca
la nostra isola: una storia che si doveva raccontare – 
i patrioti che sanguinavano ancora nelle litografie 
quando siamo nati. Chi ha scritto quel racconto
ha faticato per farlo suo. 

Ma queste donne le abbiamo amate.
Archiviste con un compito diverso.
Impedire al ricordo di diventare storia.
Impedire alle parole di curare ciò che non va curato. 
Fa freddo. La luce se ne va.
Ora s’inginocchiano dietro le loro serre, 
sotto uno qualunque dei loro alberi. 

Le foglie cadono lente.
Entrambe mettono un fiammifero sulla carta. Poi 
avvicinano le mani alla fiamma.  
Sentono il primo morso del vento.
Decorano le pagine col fuoco. Io smetto di scrivere. 

Karin Boye
(1900-1941)

La sconosciuta

Non ho mai visto la tua mano risanatrice. 
Vieni nelle tenebre, nessuno sa quando. 
Io aspetto in silenzio e fiducia, timida,
in solitudine. 

Tu mia sorella e madre, tu e io e non io, 
il tuo nome è notte, è tetro mistero.
Ti avverto immensa, potente, cieca 
senz’accento, muta. 

Sai il fondo di orrori che non ho visto, 
tremo a rompere la tua legge segreta. 
Ma conforto sai tu dolce che mi è negato 
dal giorno chiaro di sole.
 
Tacendo ho nascosto presso di te la mia ferita 
e sofferto tra le spine, finché l’anima fu vuota. 
Nelle tenebre sfiorasti la spina – lei si aprì
nel fiore di rosa canina. 

Diane Di Prima
(1934-2020)

Lettera rivoluzionaria #44

per le mie sorelle

Come sappiamo il sangue
è nascita, l’agonia
spalanca porte, perché
sappiamo piegarci, con grazia, sotto ai pesi sterrando 
come la pioggia, o i lombrichi, mentre i nostri pianti 
si piegano ai pianti del neonato, mentre sentiamo 
suppliche nelle voci intorno a noi, non parole 
di passione o astuzia, sdegnare
rabbia o orgoglio, farsi forti
nella nostra potenza, l’alchimia delle donne, braccia veloci 
a buttar giù muri, noi liberiamo
attraverso la nostra conoscenza, il travaglio, piccoli lattanti, noi 
liberiamo, e nutriamo, come la terra 

Carol Ann Duffy
(1955)

Demetra

Dove vivevo: inverno e terra dura. 
Seduta nella fredda stanza di pietra 
sceglievo parole forti, granito, selce,
 
per spezzare il ghiaccio. Il mio cuore spezzato, 
provai con quello, ma sfiorò,
piatto, il lago gelato. 

Veniva da molto, molto lontano,
ma alla fine la vidi, mia figlia,
la mia bambina, camminava lungo i campi, 

a piedi nudi, a casa di sua madre
portava tutti i fiori di primavera. Giuro
che l’aria si fece dolce e tiepida al suo passaggio, 

sorrise il cielo azzurro, senza posa alcuna, 
con la piccola bocca timida della nuova luna. 

Margherita Guidacci
(1921-1992)

La conchiglia

Non a te appartengo, sebbene nel cavo
Della tua mano ora riposi, viandante,
Né alla sabbia da cui mi raccogliesti
E dove giacqui lungamente, prima
Ché al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile. 
Io compagna d’agili pesci e d’alghe 
Ebbi vita dal grembo delle libere onde.
E non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise. 
Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora 
Assiduamente e ne sospira la mia anima marina, 
Mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma
E stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero. 

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